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Softie (2020): la recensione del documentario di Sam Soko, Miglior Film al 30° Fescaaal

29/03/2021 20:00

Cristiano Salmaso

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Softie (2020): la recensione del documentario di Sam Soko, Miglior Film al 30° Fescaaal

Softie si apre come una pellicola blaxploitation ma è soltanto una delle facce di questo film così stratificato

Pare ormai consolidata una tendenza nel cinema a cancellare confini di genere, finendo per premiare come “miglior film” pellicole che apparterrebbero, a rigore, alla categoria dei documentari. Caso emblematico il Leone d'Oro a Gianfranco Rosi, che proprio qualche mese fa era presente di nuovo a Venezia. Ma c'era anche Frederick Wiseman con City Hall, film (il migliore del 2020 secondo i Cahiers du Cinéma) politico, o per meglio dire di politica, proprio come il vincitore di questo 30° Fescaaal: Softie di Sam Soko. Che sia a Boston o a Nairobi, protagonista è infatti un candidato alle elezioni e il documentario, in sostanza, ne segue la campagna elettorale.

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Boniface Mwangi, oltre che fotografo dell'anno secondo CNN, è «un vero ribelle senza paura», come dice uno speaker alla radio.

Sam Soko si installa così nella sua casa, dove vive insieme alla moglie e ai figli, e comincia a filmarne le giornate: le due vite di Boniface Mwangi, verrebbe da dire, perchè la sua attività di fotografo lascia il posto a quella di attivista prima, e poi di candidato alle elezioni. Un salto non poi così nel vuoto, perchè fare il fotografo di strada in Kenya non è propriamente una passeggiata.

Ma per Boniface il suo paese viene prima di tutto, amore compreso: dopo anni trascorsi come reporter in un paese quotidianamente in guerra, decide così di passare dall'altra parte della barricata, e tentare la corsa alla guida del Kenya. Quando però finisce nella lista delle persone da uccidere, per la moglie e i bambini rifugiarsi negli Stati Uniti diventa l'unica opzione; dopo solo otto mesi di lontananza, in occasione delle elezioni, la famiglia tornerà di nuovo unita.

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Softie si apre come una pellicola blaxploitation, con tutto il suo bagaglio estetico e sonoro anni '70. Ma è soltanto una delle facce di un film stilisticamente stratificato, frutto di un lavoro che si è probabilmente definito nel tempo: «Il film viene fuori dopo, non ne so nulla prima», per citare proprio Wiseman.

Così spezzoni di telegiornali e vedute aeree sul paese, si alternano alle riprese in stile street photography: girato tutto con le sue tipiche focali corte, il film ripropone lo stesso approccio fotografico con il quale proprio Boniface Mwangi, nel 2007, aveva documentato le violenze in occasione delle elezioni.

Oltre a omaggiare anche il fotografo, insieme all'attivista, questa continuità fra le immagini e le riprese si rivela poi assolutamente appropriata. Il film ha una notevole forza immersiva e ci si ritrova sempre dentro la scena, sia essa in mezzo agli scontri o al riparo dentro casa: il sangue è davanti ai nostri occhi, la paura si legge negli sguardi, qualcuno sembra stia parlando proprio a noi.

Sam Soko entra nella vita di Boniface Mwangi, dedicandogli diversi anni della propria: un lavoro di inserimento nel suo contesto familiare, per filmare anche il lato umano e le fragilità di softie, soprannome che si porta dietro dall'infanzia, perchè più piccolo e debole dei suoi fratelli, e che suona oggi curioso vicino a fearless, senza paura.

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Softie è un documentario in grado di conciliare reportage e ritratto umano: concreto e coinvolto, risulta però coinvolgente più sul piano documentaristico che su quello puramente cinematografico. Un lavoro che merita comunque più diffusione possibile, e il Premio come Migliore Lungometraggio al 30° Fescaaal ci auguriamo possa a suo modo aiutarlo.


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Genere: documentario

Paese, Anno: Kenya, 2020

Regia: Sam Soko

Sceneggiatura: Sam Soko

Fotografia: Joel Ngui, Chris Rhys Howarth, Sam Soko

Montaggio: Mila Aung-Thwin, Sam Soko, Ryan Mullins

Durata: 96'

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