Volto noto quasi a chiunque, vuoi per i tre capitoli de Il Signore degli Anelli vuoi per la collaborazione con David Cronenberg, Viggo Mortensen è anche nella vita una personalità poliedrica: attore, musicista, pittore, fotografo e ora anche regista con Falling – Storia di un padre.
John è un uomo di mezza età che vive in California insieme al compagno Eric e alla loro figlia adottiva. L’anziano Willis, padre di John, è ormai rimasto solo nella sua fattoria in Illinois e decide di raggiungere il figlio, forse per avvicinarsi a lui per sempre.
Un carattere scontroso e un’educazione all’antica, uniti a un principio di demenza senile, rendono però Willis una figura sempre più scomoda, che finirà per dare filo da torcere ai figli e alle loro famiglie: divisi tra l’amore per il genitore e le sue continue sfuriate, John e Gwen proveranno in ogni modo a non mollare quel filo che li unisce.
Nello stesso anno di The Father, ecco un altro esordio cinematografico che affronta un tema analogo: Falling – Storia di un padre ricostruisce la vita di un uomo attraverso il filo dei ricordi, suoi e del figlio.
Viggo Mortensen scrive e dirige una storia fortemente autobiografica, non mancando di rimarcarlo dal principio alla fine: dalla cicatrice sulla bocca di John, uguale alla sua, fino alla dedica nei titoli di coda ai suoi fratelli Charles e Walter, che nel film diventano però una sola sorella. Non è l’unica concessione alla finzione, dal momento che nella storia trova posto anche la coppia omosessuale con figlia adottiva, perfetta per alimentare gli antagonismi nella storia e al contempo per una bella lezione di politically correct.
Girato su due piani temporali, il presente del racconto e i flash back sul passato, Falling funziona in fondo più su questi ultimi. Grazie al volto più riuscito del film, che non è quello di Mortensen ma di Sverrir Gudnanson nel ruolo del padre da giovane, e grazie all’aura bucolica e sognante della pellicola: complici anche le musiche (a cui ha collaborato con Marcel Zyskind anche lo stesso Mortensen) con pianoforte e inserti di chitarra acustica, e la fotografia tutta bokeh e primissimi piani (non è sua la firma ma c’è il suo gusto fotografico).
Viggo Mortensen sfoglia l’album di famiglia con cuore e devozione, ma non riesce nell’impresa di appassionare fino in fondo anche gli estranei: si assiste con piacere ma anche un po' di noia, perché tutto è in fondo già visto e già sentito.
Tra sigarette, tappe al cesso e allusioni sessuali, l’omofobo Willis diventa sempre più pedante e prevedibile: un numero imprecisato di battute colorite («L’acqua è dove cagano i pesci», «Quell’uomo vale quanto la merda di un cane»), scene collaudate infinite volte (l’uomo che davanti al mare sembra ritrovare se stesso), fino al climax emotivo con sfuriata, lacrime e abbraccio pacificatore: ingenuità e dejà vu che finiscono per omologare e rendere il film impersonale, a dispetto delle sue intenzioni.
C’è tanta scuola e alcune scene riuscite (quelle legate alla caccia, su tutte l’ultima che strizza l’occhio a Cimino), una storia girata “come si deve”, un sapore dolciastro che rovina un po' tutto.
Genere: drammatico
Paese, anno: USA, 2020
Regia: Viggo Mortensen
Sceneggiatura: Viggo Mortensen
Fotografia: Ronald Sanders
Montaggio: Carol Spier
Interpreti: Lance Henriksen, Viggo Mortensen, Terry Chen, Sverrir Gudnason, Hannah Gross
Musiche: Viggo Mortensen, Marcel Zyskind
Produzione: Perceval Pictures, Baral Waley Productions, Scythia Films, Zephyr Films
Distribuzione: Bim Distribuzione
Durata: 112'
Uscita: 26 agosto 2021