Nel 1987 esce Predator. Predator non è solo un action a tinte horror, ma è uno di quei film anni ’80 diventato una pietra angolare per vari generi e motivi. È anche uno di quei film la cui storia produttiva sembra essere lei stessa un film, dal coinvolgimento di Jean Claude Van Damme all’improvvisazione quasi totale del make up del mostro.
Predator è nato sopra un equilibrio tanto precario da poter essere considerato un autentico miracolo. E infatti, nonostante in seguito si sia cercato di sfruttare il franchise (o i franchise), nessuno è riuscito davvero ad eguagliare il primo film. E sì che ci hanno provato in tanti, e non erano proprio gli ultimi arrivati: da Robert Rodriguez a Shane Black e Fred Dekker, passando per Paul W. S. Anderson.
Ci hanno provato trapiantando l’azione nella giungla urbana di Los Angeles, sul pianeto nativo dei Predator, nella suburbia americana; l’hanno persino fatto scontrare con il suo arcinemico Alien un paio di volte eppure niente, l’alchimia del primo (oltre che il lunghissimo effetto sorpresa del finale) non è mai più stata replicata.
Detto questo, vi chiederete: sì, ok ma l'ultimo Prey com’è? Bè, non fa alcuna differenza. La continuità non è mai stata una prerogativa della saga di Predator, perciò in un’epoca di requel è praticamente un invito a nozze. Viene preso un vecchio cult, trasposto in un altra epoca e con altri personaggi, irrorando tutto con qualche ammiccamento qua e là alle scene più cult della saga e il gioco è fatto.
Prey è sostanzialemnte Predator, ma ambientato in un epoca pre-western, dove i grandi spazi erano dominati da tribù indiane.
In questo contesto ci viene presentata la protagonista Naru, eroina che per chiudere il proprio viaggio di formazione deve dimostrare a sé stessa e alla sua gente di essere una grande cacciatrice. Quindi parte per un viaggio nelle terre selvagge a caccia del Predator.
Esaurita questa premessa, il film diventa una sfida tra cacciatori - uno umano e uno alieno - che in una foresta giocano di strategia per scoprire i reciproci punti deboli. Davvero: perchè? È lo stesso identico film del 1987 e non aggiunge ne sottrae nulla al discorso già fatto da John McTiernan.
Non c’è nulla di sbagliato in Prey, tutto è al posto giusto, tutti sono bravi, le scenografie naturali sono pazzesche, la fotografia crea la giusta atmosfera, le scene d’azione girate con criterio.
Ha anche il pregio (rarissimo nell’ultimo decennio) di durare meno di due ore. Persino il rinnovo di stile del Predator è ben fatto e nella scena in cui si toglie la maschera e grida nel mezzo della foresta non si può dire nulla perché... è Predator. Ma il problema è proprio questo! Abbiamo già visto tutto 35 anni fa e non è interessante sentirsi raccontare ancora la stessa storia, pedissequamente uguale.
Anche la struttura narrativa del film è identica, le tappe e le scene sono le stesse, persino alcune inquadrature e battute sono uguali. Predator 2 (di Stephen Hopkins del 1990) era conscio dei propri limiti, ma almeno provava a variare l’ambientazione e, a conti fatti, è forse il miglior sequel della saga, sicuramente il solo che ne ha espanso l’universo narrativo.
Non a caso Alien vs Predator nasce da qui, Predators ne mutua alcuni spunti e persino un dettaglio di Prey (la pistola che la protagonista riceve in regalo) si riconduce al finale di Predator 2. Il resto è aria fritta, buona a riempire un paio di ore, ma dimenticata altrettanto in fretta. Prey non fa eccezione.
Genere: azione, drammatico, horror
Paese, anno: USA, 2022
Regia: Dan Trachtenberg
Sceneggiatura: Patrick Aison
Fotografia: Jeff Cutter
Montaggio: Claudia Castello, Angela M. Catanzaro
Interpreti: Amber Midthunder, Dakota Beavers, Stefany Mathias, Dane DiLiegro, Stormee Kipp, Michelle Thrush, Julian Black Antelope
Produzione: 20th Century Studios, Davis Entertainment
Distribuzione: Disney+