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L'eta barbarica

25/06/2008 11:00

Daniela Silvestri

Recensione Film, Film Commedia, Denys Arcand,

L'eta barbarica

Jean Marc è un grigio e annoiato funzionario ministeriale del Quebèc, impegnato presso un quanto mai precario Ufficio dei reclami...

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Jean Marc è un grigio e annoiato funzionario ministeriale del Quebèc, impegnato presso un quanto mai precario Ufficio dei reclami. Sua moglie è un'agente immobiliare cinica e affermata, le sue due figlie adolescenti vivono in un mondo fatto di cellulari e di i-pod e non comunicano. Non gli resta allora che sognare ed evadere, ricreandosi un finto mondo parallelo di donne, sesso e successo da cui accedere attraverso la porta della suo garage.


Il film si presta ad una facile divisione: nella prima parte assistiamo al delinearsi di un personaggio piuttosto macchiettistico, un classico colletto bianco immerso in una vita quanto mai banale e/o normale in una società canadese piuttosto inquietante e assai lontana dall’eccellenza professata dal vicino di casa Moore. Carriera mediocre sovrastata da una moglie imbarazzante e snervante, figlie adolescenti elettromani, lavoro alienante, mobbing continuo e continui palesarsi di aberrazioni che la nostra società moderna ci propina continuamente. Così, un pò come nella Roma di Nerone si distraeva il popolus con "panem et circenes", oggi si annebbiano i pensieri con una serie di pseudo comfort quanto mai inutili e relazioni sociali ai limiti dell’alienazione, al fine di distrarsi da una vita che più che vissuta è trascinata. Sin qui niente di nuovo, se non nel modo, davvero divertente, in cui si descrivono le modalità tramite cui Jean Marc trova le sua via di fuga. Crearsi una sua vita immaginaria ma quanto mai più veritiera della reale, in cui anche le perversioni più subdole e più comuni (quali ad esempio frustare ed umiliare un capo impertinente) trovino realizzazione. La comicità di alcune situazioni condisce il tutto di una salsa amara, perché in questo squallore e nel fare accidioso del protagonista ci si può forse riconoscere un pò tutti noi, almeno sino al momento in cui, come da rigore letterario, scatta l'evento che scatena il cambiamento.


Lasciato dalla moglie, Jean Marc sente accendersi una miccia in cui le sue stesse fantasie non bastano più e decide di buttarsi a capofitto nella sua vita al fine di trovare una via di svolta, salvo poi incappare in persone se possibile anche più abnormi di lui. E se la normalità è la vera rivoluzione, bando a fotomodelle o riti d’iniziazione medievali, ed evviva la "banalità" delle piccole cose: lo spettacolo della natura, la tranquillità di un vecchio chalet di famiglia, la marmellata fatta in casa, l'arte e il buon vicinato. Nel momento in cui decide di rinunciare a tutto Jean Marc diventa finalmente pro-attivo e protagonista, scalando la vetta della stima propria e sociale anche agli occhi di chi per primo ha disprezzato. Ma se questa è la soluzione proposta dal regista, è forse un pò semplicistica e zuccherosa. La via del mollo tutto è pur sempre coraggiosa, ma troppo semplice contrastare un'età ovviamente barbarica se vista come moglie isterica, ipod e badge ad una vita di natura, pane, amore e fantasia. Se c'è bisogno, perché il bisogno c'è, di uscire da questa barbarie, forse la vera rivoluzione è da compiersi nella rincorsa di queste fantasie tanto sognate. Forse non sempre ciò che si desidera è bello finché rimane tale, forse più coraggioso nonché liberatorio sarebbe stato rincorrerne anche solo una, piuttosto che forse ancora arrendersi al pur sempre bello ma usurato chalet, già protagonista di ben altre scelte e scenari, allora davvero coraggiosi, delle Invasioni Barbariche.


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