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I segreti di Brokeback Mountain (2005), la recensione: due grandi interpreti per il film cult di Ang Lee

22/03/2009 12:00

Giuseppe Salvo

Recensione Film, Film LGBT,

I segreti di Brokeback Mountain (2005), la recensione: due grandi interpreti per il film cult di Ang Lee

Jack Twist (Jake Gyllenhall) e Ennis Del Mar (Heath Ledger) si trovano per caso insieme, a custodire un gregge di pecore per i pascoli di Brokeback Mountain: co

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Jack Twist (Jake Gyllenhall) e Ennis Del Mar (Heath Ledger) si trovano per caso insieme, a custodire un gregge di pecore per i pascoli di Brokeback Mountain: condividono il lavoro, il cibo, il tempo, e in quel luogo così incontaminato, vasto e sperduto, combattono il freddo dell’altitudine, e dei loro petti, stringendosi l’un l’altro, abbandonandosi ad una passione nuova, libera e irreversibile. Terminata l’estate, le loro strade si dividono, ognuno si avvia a percorrere la consuetudine della vita, con le sue tappe di fidanzamenti, matrimoni, figli. L’aura che circondava i giorni trascorsi insieme sembra svanire nell’oblio; ma quando i due si rincontrano, prenderanno consapevolezza di un legame sorprendente, un affetto talmente solido da non lasciarsi scalfire dalle mareggiate tumultuose degli anni.


Esistono luoghi, fatti di acqua, di roccia, di praterie sconfinate, che hanno il profumo delle oasi nel deserto, bacini incorrotti dall’inquinamento della civiltà. Talvolta, buttando uno sguardo di là da queste terre si scorge l’indefinita polvere dell’ignoto, granelli che si gonfiano in nuvole rosse al passaggio di un coyote. Ang Lee raccoglie l’eredità del western tradizionale, ne utilizza gli sfondi e le fughe prospettiche infinite, abbraccia quella tendenza romantica di allungarsi fino al limite, in quelle terre di confine oltre il quale vegliano minacce e insidie sconosciute. Ma, i suoi cowboy non schivano frecce, non incrociano gli sguardi dei pellerossa, non fuggono le fauci fameliche dei lupi; si districano piuttosto tra le maglie di dinamiche ben più interiori, circoscritte fra le sottili e fragilissime pareti del sentimento amoroso. Brokeback Mountain è terra di confine, fisica certo, ma soprattutto emotiva, luogo segreto condiviso da due anime in cerca di se stesse, lontano – e per questo marginale – dalla società e dalle sue regole, dalle tappe da seguire e i rigetti estesi e massificati. Durante il pascolo estivo di un gregge di pecore, Jack e Ennis si incontrano, si studiano, sciolgono le rispettive barriere in un coinvolgimento affettivo intenso e profondissimo. Il “confine” varcato, non è semplicemente quello dell’eterosessualità, bensì della paura d’amare, di spingersi alla perdizione di sé, senza remore né rimorsi. Se Jack oltrepassa quella linea d’ombra consapevolmente, Ennis ne rimane dapprima turbato, poi, abbandonatosi ad esso, ne sconta i conflitti con la sua natura solinga e indomabile. Questa la straordinaria carica del film, di raccontare con toni delicatissimi e sbrigliati la sensibilità dei due protagonisti, isolando il loro microcosmo in lande desolate; la tematica dell’omosessualità e dei suoi riscontri in una società – quella americana degli anni ’60 – profondamente patriarcale e omofobica, non diviene centro d’interesse della vicenda, ma piuttosto viene sfiorata. Ang Lee concentra tutta la sua attenzione sul legame affettivo della coppia, sulla passione e i bisogni che da essa scaturiscono; l’ambientazione scelta crea lo sfondo ideale per seguirne gli incontri, senza retorica né artifici, immergendoli nella tersa naturalezza del sentimento.


Il regista cinese conferma la sua capacità tattile di ascoltare i protagonisti dei suoi film – ricordiamo i conflitti interiori del contestualmente lontanissimo Bruce Banner –, le loro introversioni psicologiche, talvolta non necessariamente parlate, colte da un occhio cinematografico svincolato da cortine inibitorie. Consacrazione di Gyllenhall e Ledger, assolutamente complementari, e eccellenti nel non calcare la mano, laddove spingersi oltre le righe avrebbe sacrificato la naturale sincerità dei ruoli. Un esempio di come sia possibile creare un’opera senza preconcetti né condizionamenti, affrontando storie pur delicate, senza necessariamente impiegare toni accesi o forzati alla denuncia. Quel che ascoltiamo è il racconto di un amore, selvaggio e dolce, come un tramonto estivo che muore nel diafano crinale di monti ispidi e innevati; ciò che scorgiamo è un luogo, una magica culla, un nido nel quale covare e nutrirsi del calore inesprimibile di un abbraccio, un brivido di pelle e sudore, fuori del quale nulla esiste veramente.


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