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5 (Cinque)

05/07/2011 11:00

Valerio Ferri

Recensione Film,

5 (Cinque)

Donne, soldi e sballo sono il paradigma perfetto di cinque ragazzi della periferia romana...

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Donne, soldi e sballo sono il paradigma perfetto di cinque ragazzi della periferia romana. Ogni desiderio ha un prezzo; in questo caso, come in molti altri, quello della vita malavitosa. Un passato difficile e condiviso è portatore del canonico desiderio di vendetta, accompagnato dall'immancabile senso di fratellanza. La banda è come una seconda famiglia, ma è spesso anche maschera latente della paura generalizzata verso una caduta inesorabile, lontano dalla famiglia vera.


Si direbbe un gangster movie in salsa nostrana che strizza l’occhio alla secolare tradizione d’oltreoceano, ma così non è. Il riformatorio, la voglia di rivalsa e l'intimo ludibrio etico rappresentano delle tracce inconfondibili, fermandosi però in tal caso solo al soggetto. Avere a disposizione dei giovani emergenti – fatta eccezione per il volto riconosciuto di Matteo Branciamore - talvolta può essere un vantaggio, specie quando il film in questione prende umilmente le distanze dal modello irraggiungibile dei grandi boss a stelle e strisce. La solenne catarsi hollywoodiana è già un miraggio dopo i primi minuti di riprese, sorprendentemente non a causa di un tentativo ambizioso di ricalcarne le orme, ma di un più apprezzabile lavoro ai fianchi volto a smitizzare la figura ingombrante del carismatico gangster immortale (quantomeno nell’immaginario collettivo). L'inesperienza e i tentennamenti dei giovani interpreti possono esplodere in tutta la loro semplicità, proiettati sui cinque amici sbarbatelli e un po' impacciati che giocano a fare i duri contro i maestri del mestiere. Immancabile la rielaborazione di una trama che rimane sostanzialmente costante nel succo, puntando però su una forma sussurrata, capace al tempo stesso di limitare i danni per lo scotto della scarsa originalità e far sciogliere allo spettatore dei banali nodi legati in fretta e furia. Una regia frenetica che ripercorre spesso i tempi della fiction si rivela decisiva ai fini dello stratagemma, oltre a garantire una certa vivacità.


Guai ad accennare seppur velatamente a Romanzo Criminale. La strada intrapresa da Cinque prende una direzione ben diversa e imbocca per la prima volta il cammino del rinnovamento, a scanso dell’imitazione. Differenziarsi dal divinizzato brand made in USA è spesso consigliato; doveroso nella fattispecie, viste le risorse. L'esperimento è da considerarsi tutto sommato positivo e superato, se inquadrato come punto di partenza. L'attenzione rivolta a dei teneri criminali di serie B è il fine che giustifica i mezzi, ma non deve essere un pretesto per mettere le mani avanti di fronte ad un'opera incapace di coinvolgere come un prodotto più sofisticato, seppur non di rado ai limiti del surreale. C'è il rischio dietro l’angolo di cadere per l'ennesima volta nell’eterna ipocrisia tutta italiana di saper offrire uno spaccato più fedele e caloroso della realtà, attraverso una spettacolarizzazione più stemperata che perde così ogni ragion d’essere o qualsiasi stimolo d'intrattenimento artistico.


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