Presentato nel 2009 al Torino Film Festival, Pink Subaru è una commedia grottesca e surreale di Kazuya Ogawa, regista giapponese residente in Italia, che decide di portare sul grande schermo un'epopea multietnica, dove usi e costumi differenti si mischiano e si intrecciano in una realtà ibrida che sembra dispiegarsi in un non-luogo, una specie di paese delle meraviglie d'oriente. Elzober (Akram Telawe) lavora da vent'anni nel ristorante di sushi di un amico a Tel Aviv. Con il sudore della fronte e un'attenta strategia di risparmio riesce a coronare il suo massimo sogno: diventare il possessore di una Subaru Legacy, auto giapponese popolarissima in Israele e Palestina. Agli occhi di Elzober, l'automobile rappresenta un vero e proprio tourning point: con essa potrà muoversi più agilmente tra i quartieri e le cittadine, potrà accompagnare sua sorella al matrimonio; potrà , a tutti gli effetti, definirsi un uomo. La gioia dell'acquisto è tale che Elzober non si fa scrupoli ad organizzare una sontuosa festa, a cui partecipano amici e conoscenti. La sua vita, di colpo, appare come un sogno. Ma il risveglio - quello vero - è traumatico. Al mattino, il sushi chef scopre che qualcuno ha rubato la sua macchina. Parte così una funambolesca ricerca della vettura, a cui partecipa tutto il piccolo villaggio di Tayibe, dove Elzober vive. Obiettivo è quello di riuscire a rientrare in possesso della Subaru prima che venga portata oltre i confini di Tukarem, in terra palestinese, dove con ogni probabilità verrebbe smembrata e poi rivenduta. Interessante prova d'esordio per Kazuya Ogawa che, coraggiosamente, decide di raccontare il medioriente senza nessun richiamo alla guerra che ormai da anni devasta Istraele e la Palestina. Una terra dove non esistono confini tra una razza e l'altra, e dove la divisione interna diventa importante solo perchè rappresenta il limite oltre il quale finiribbe la speranza del protagonista di riappropriarsi della Subaru Legacy. Quella che il regista mette in scena è una rivisitazione di una terra promessa, dove ogni cosa appare possibile. Ma è soprattutto un universo colorato e spesso onirico quello che Ogawa regala al pubblico, simile - in qualche modo - a quello raccontato da Lewis Carroll nel suo Alice nel Paese delle meraviglie. Tra personaggi surreali e momenti grotteschi, il protagonista - un ottimo Akram Telawe - si muove spinto solo dal desiderio di ricongiungersi alla sua amata vettura, aiutato da amici, parenti, sconosciuti, giapponesi. Rispondendo ad una situazione narrativa classica - un evento inaspettato spinge il protagonista ad intraprendere un viaggio che lo mette in contatto con altre persone e altre situazioni - Pink Subaru deve la sua forza al circo di personaggi che riesce a mettere in scena. Intorno allo chef specializzato in sushi, infatti, si muovono tutta una serie di personaggi surreali: dalla strega che legge i fondi del caffè, alla sorella che non può sposarsi finchè la macchina non verrà ritrovata. In questo caleidoscopio di personaggi la narrazione a volte zoppica, ingolfandosi in momenti più lenti che frenano l'avanzata frenetica dell'avventura, raccontata attraverso l'uso di colori sgargianti e una colonna sonora varia e internazionale. Nonostante la scelta bonaria di proporre un microcosmo dove sembra non esistere la malvagità , Pink Subaru colpisce soprattutto per la sua voglia di sperimentare, e per la determinazione nel raccontare un mondo quasi fiabesco senza bisogno di impietosire gli spettatori sfruttando l'orrore della guerra.