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Man on Fire - Il fuoco della vendetta

09/12/2011 11:00

Vito Sugameli

Recensione Film,

Man on Fire - Il fuoco della vendetta

I fratelli Scott in comune non hanno solo il cognome (e neppure gli incassi)...

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I fratelli Scott in comune non hanno solo il cognome (e neppure gli incassi). Sembra che i loro film debbano superare da prassi le due ore abbondanti minando la soglia media di sopportazione dello spettatore. Se per alcuni generi cinematografici decine di minuti in avanzo equivalgono ad un arricchimento narrativo indispensabile a esaminare gran parte degli eventi, per gli action movie può diventare un'arma a doppio taglio. Man on Fire si salva in corner in quanto ibrido: thriller d'inchiesta nella prima parte, film d'azione nella seconda con sani rintocchi poetici, ma i cui colpi di scena sembrano comparire di default per tirare le somme a una storia evidentemente tirata per le lunghe.


Creasy (Denzel Washington) è un ex marine, ubriacone, vittima di un sistema che lo ha inghiottito nonostante la sua volontà di combatterlo. Per esigenze personali ed economiche è costretto ad accettare un delicato lavoro a Città del Messico che consiste nel proteggere una bambina di nome Pita (Dakota Fanning) la cui famiglia è nell'occhio del mirino di una banda di sequestratori. Nonostante il desiderio da parte di Creasy di lavorare senza instaurare legami sentimentali, i due finiranno per diventare complici di un rapporto sincero di amicizia e fiducia, fino a quando lei verrà rapita e lui ferito mortalmente. Da quel momento la rabbia di Creasy non avrà più freni.


Assorto e simultaneamente aggressivo vengeance movie, tratto dall'omonimo romanzo di A.J. Quinnell; remake americano di Un uomo sotto tiro di Elie Chouraqui (coproduzione italo-francese), Man on fire è un'opera potente che dimora nell'emisfero dei ricordi. A molestare la visione vi sono tuttavia delle discutibili scelte di montaggio: Christian Wagner sovrappone frammenti di scene alterate e caotiche a superflui innesti testuali in pieno stile videoclip; tolti i tormenti interiori del protagonista - espressi musicalmente da partiture vicine per atmosfere e sensibilità a Il gladiatore di Ridley Scott - non vi è giustificazione plausibile che regga un simile appesantimento fruitivo. Ombre sì che offuscano ma non abbastanza da inghiottire regia e sceneggiatura: propedeutiche al film d'inchiesta sul tema del rapimento in America latina (interventi televisivi, numeri e fotografia dai colori saturi) virano verso l'action puro garantendo una tridimensionalità di personaggi ed eventi. A dare una spinta decisiva al carattere emozionale di Man on Fire, lo sguardo lacerato di Denzel Washington e l'adorabile esuberanza fanciullesca della bambina prodigio Dakota Fanning (vista tre anni prima in Mi chiamo Sam). Insieme comunicano ciò che la macchina da presa talvolta non è in grado di cogliere esplicitamente. Un'alchimia rara che da un lato soddisfa il regista a livello umano, dall'altro palesa incapacità nell'amministrare la corrispondenza strutturale di un film imperfetto, eppure a suo modo affascinante e coinvolgente. Il finale è un pugno allo stomaco che ricorda, semmai ce ne fosse bisogno, quanto il cognome Scott rimanga comunque garanzia di autorialità.


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