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The Artist

09/12/2011 12:00

Chiara Napoleoni

Recensione Film,

The Artist

Parole, parole, parole...

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Parole, parole, parole. Dai dialoghi minimalisti bergmaniani ai botta e risposta frenetici di Woody Allen, passando per la stereoscopia, il digitale, il 3D: tante le innovazioni che hanno rivoluzionato la settima arte, poche le riflessioni cinematografiche a riguardo. Il passaggio dal muto al sonoro fu uno dei momenti più traumatici della storia del cinema: registi, attori e produttori si trovarono di colpo a combattere con un approccio completamente diverso alla regia e alla recitazione. Proprio gli attori furono il bersaglio prediletto di questo mutamento, grandi star incredule tramontarono di fronte all’avvento di parole finalmente dette e non più scritte sul grande schermo. “I film parlati sono un’invenzione molto interessante, ma credo che passeranno velocemente di moda” diceva Louis Jean Lumiere. Erronea valutazione, che non solo il padre del cinema fece in quei tempi.


Hollywood, 1927. George Valentin (l'ammiccante Rodolfo Valentino interpretato da Jean Dujardin, miglior attore a Cannes) è un divo del cinema muto all’apice del successo. Conturbante ed istrionico, adorato dal suo pubblico e perennemente accompagnato dal suo fedele cagnolino, con la scia che emana la sua stella punta i riflettori su una giovane e briosa ballerina all’uscita di una prima, Peppy Miller (Bérénice Bejo). I tempi d’oro del muto però sembrano ormai alle spalle di tutti e ben presto Valentin, tra l’avvento del sonoro e la crisi del ’29, si ritrova senza carriera e senza casa. Sarà proprio la soubrette Miller a rimpiazzarlo nel cielo stellato di Hollywoodland, astro nascente che non si dimenticherà dell’incontro fortunato e della grande star del passato. L’amore è alle porte, ma l’orgoglio di Valentin sembra non demordere di fronte all’inevitabile tramonto di un’era.


Non è la prima volta che il cinema riflette sull’argomento: da Cantando sotto la pioggia di Stanley Donen e Gene Kelly al capolavoro di Billy Wilder, Viale del tramonto, in cui la decadente diva del muto rivendica il suo spazio tra le stelle dorate di Hollywood, innumerevoli sono i personaggi che ricalcano la fine del cinema del silenzio. Era dai tempi di Mel Brooks però che non si tentava di riportare il muto in sala. The artist azzarda il rilancio e ci riesce in pieno, riprendendo gli stilemi del cinema classico hollywoodiano, dal melò al musical e dando vita ad un pastiche postmoderno titanico, in cui ritroviamo l’Orson Welles di Quarto potere, ma anche Ernst Lubitch, Friedrich Wilhelm Murneau, Fritz Lang. Michel Hazanavicius – famoso in Francia per la rievocazione di genere con le spy stories di OSS 117 - riporta il pubblico indietro nel tempo, dando la possibilità allo spettatore di rivivere quei momenti con raffinata e ambiziosa consapevolezza. Girato in 4:3, con una gamma infinita di grigi e velocizzato quanto basta per non appesantire la visione, The artist è un prezioso omaggio di un autore che non si perde nel citazionismo metacinematografico, ma che avvolge il suo pubblico nella visione, esclusiva, senza audio, e dona nuovo significato alle parole di Charlie Chaplin di fronte all’avvento del sonoro: “They are ruining the great beauty of silence” ("Stanno rovinando la grande bellezza del silenzio").


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