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Michael Jackson: The Life of an Icon

21/02/2012 12:00

Vito Sugameli

Recensione Film, Film Musicale, Michael Jackson,

Michael Jackson: The Life of an Icon

David Gest riunisce la madre Katherine, i fratelli, i collaboratori, gli artisti e tutte quelle figure private e professionali che hanno vissuto con il Re del p

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David Gest riunisce la madre Katherine, i fratelli, i collaboratori, gli artisti e tutte quelle figure private e professionali che hanno vissuto con il Re del pop importanti pezzi di storia. Michael Jackson: The Life of an Icon non è una voce fuori dal coro ma la voce. Perché se non alla madre del proprio figlio, a chi dovremmo dar credito?


David Gest, ideatore e produttore del documentario, si dice intimo amico di Michael Jackson sin dall'infanzia. Non ci è dato sapere se il cantante ricambiasse tale sentimento con il medesimo trasporto (l'amicizia non si misura in anni di conoscenza); ciò nonostante il suo omaggio è ammirevole nella volontà di descrivere ogni aspetto dell'uomo nato in una piccola città dell'Indiana e affermatosi come il più grande intrattenitore di tutti i tempi. Per mezzo di The Life of an Icon, Guest e il regista Andrew Eastel svolgono un minuzioso lavoro di ricerca della verità. Vengono a galla gli aspetti umani meno evidenti e contemplati: a dispetto delle spese pazze strumentalizzate (tra le altre cose) dal giornalista inglese Martin Bashir nel documentario Living with Michael Jackson (2003) – la smentita ufficiale arrivò con Take Two: The Footage You Were Never Meant To See, basato sulle riprese realizzate in parallelo dall'operatore personale del divo – Jackson è stato un importante filantropo del nostro tempo. Le testimonianze qui raccolte mettono a tacere le accuse e le speculazione che negli ultimi decenni hanno riempito le pagine dei tabloid di tutto il mondo, offrendo un punto di vista inedito sulla sua vita privata (il rifiuto per l'aspetto fisico, la vitiligine, la dipendenza da farmaci legata all'incidente di cui Pepsi non ha colpa) e chiarendo la sua posizione riguardo al primo processo che lo logorò profondamente. Non fu lui ad accettare il patteggiamento con la parte lesa, lo costrinsero i legali. In questo modo firmò la sua condanna a morte: di fronte all'opinione pubblica aveva ammesso, seppur tacitamente, la sua colpevolezza.


The Life of an Icon non è un gratuito inno all'innocenza e si tiene ben distante dal descrivere Jackson come un modello di riferimento. Gli aspetti negativi della sua personalità, i vizi, la fragilità che lo ha reso vulnerabile, l'incapacità di vivere secondo le regole, il sovvertimento caratteriale (un piccolo-adulto diventato un adulto-bambino) sono fattori che aiutano a delinearne un preciso profilo psicologico. Approccio registico che, in bilico tra l'agiografia e l'analisi psicosociale, mette in difficoltà la risposta percettiva del pubblico: la verità fa a cazzotti con la demagogia in un contesto in cui lo spazio di movimento è ridotto all'osso. A dimostrazione del fatto che The Life of an Icon è l'opera più attendibile e ufficiale sulla vita del cantante mai prodotta fino ad oggi, si riconosce ad essa il merito di aver sollevato spunti interessanti su aspetti inediti della sua individualità. Nonostante l'innegabile faziosità e la durata impegnativa (149 minuti), gli appassionati rivivranno la vita di un'icona: per una volta da una differente prospettiva, più intima e partecipata. I ricordi di un'infanzia dura, seppur felice, miscelata alle gioie e all'inatteso decesso avvenuto del 2009, contribuiscono alla creazione di un'atmosfera contraddittoria, dove l'amore sfida il senso di ineluttabilità per aver impedito ad un grande artista di vivere da uomo libero. La chiusura - stringata, intensa, toccante - con la madre che piange suo figlio pone fine allo spettacolo. Come a teatro, si spengono le luci e sul palco incombe il silenzio. L'accettazione è il passo successivo: il Re è morto.


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