Prendete un attore affermato e uno sulla cresta dell’onda, aggiungete una buona dose d’azione, un pizzico di buon senso e luoghi comuni quanto bastano. Dopo quasi 2 ore vi renderete conto di aver assistito a Safe House – Nessuno è al sicuro, lo spy-movie di Daniel Espinosa, regista svedese alle cui spalle troviamo pellicole ed episodi di serie televisive mai arrivate in Italia. Tobin Frost è considerato il più brillante agente che la CIA abbia mai avuto. Dopo 25 anni di servizio, però, l’uomo comincia a vendere importanti codici militari ai nemici degli Stati Uniti, tradendo l’Agenzia e la sua stessa patria. Stanco di fuggire, Frost si consegna volontariamente al consolato sudafricano perché in possesso di importanti informazioni segrete. Quando la Safe House, la casa in cui è rinchiuso, viene attaccata da una banda di violenti killer assoldati dal misterioso Vargas, l’agente Matt Weston è costretto ad aiutarlo a scappare e ad ascoltare i racconti di corruzione e abuso di potere di cui è stato testimone il suo “ospite”. Il talento recitativo di Denzel Washington non aveva certo bisogno di conferme. Dopo Il collezionista di ossa, John Q e il recente Pelham 123, l’attore torna a vestire i panni di un altro personaggio inquieto ed arrabbiato, obbligato a recitare la parte del cattivo. Tobin Frost è un uomo stremato dal suo lavoro, deluso dalla corruzione del mondo e amareggiato da una vita che non ha potuto vivere. Costretto a lottare per sopravvivere, Tobin intraprende la via più pericolosa nonché più redditizia. La recitazione astratta, glaciale, quasi esclusivamente mentale di Washington (essenziale per la riuscita del personaggio), cozza prepotentemente contro quella apatica e passiva dell’astro nascente Ryan Reynolds. L’attore canadese, dopo aver raggiunto il successo con Buried – Sepolto vivo e soprattutto con Lanterna Verde, è diventato uno dei sex symbol più amati di tutto il mondo. Il suo aspetto fisico, tuttavia, non riesce a far dimenticare che, almeno in Safe House, era essenziale un carisma che purtroppo non gli appartiene. Sam Shephard, Vera Farmiga e Brendan Gleeson, seppur per pochi minuti risultano più interessanti e convincenti di Reynolds, tanto che il pubblico si ritrova a sperare in un capovolgimento dei ruoli (e dei relativi spazi). La storia di Safe House, scritta dall’esordiente David Guggenheim, ricorda I tre giorni del condor ma, ancor più, il thriller Solo due ore che verteva quasi esclusivamente su uno strepitoso Bruce Willis. La mancanza di originalità, non è la pecca peggiore del film. La sceneggiatura presenta degli enormi vuoti narrativi, dei salti spaziotemporali che meritavano di essere riempiti, delle curiosità che avrebbero potuto essere soddisfatte, almeno per accontentare il pubblico. Con il perfido antagonista evidente già dai primi minuti del film, è impossibile sentirsi pienamente coinvolti dalla storia di due rivali che diventano alleati per combattere un nemico comune. La fotografia perennemente scolorita e la musica coatta che gracchia in sottofondo, non aiutano certamente la riuscita della pellicola. Peccato, dunque, che Espinosa abbia sprecato il talento di Washington per una vicenda poco adrenalinica.