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Pollo alle prugne

24/03/2012 11:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Pollo alle prugne

Dopo la trasposizione cinematografica del capolavoro Persepolis, Marjane Satrapi torna al cinema con un’altra graphic novel, Pollo alle prugne, presentato alla

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Dopo la trasposizione cinematografica del capolavoro Persepolis, Marjane Satrapi torna al cinema con un’altra graphic novel, Pollo alle prugne, presentato alla 68° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Con lei, dietro la macchina da presa, l’amico Vincent Paronnaud. Proprio come aveva già fatto nel suo precedente lavoro, la Satrapi tratta in maniera originale e affascinante il tema del distacco e dell’esilio: esule lei stessa, la regista racconta una separazione continua, dall’uomo amato, dalla donna amata, dalla vita, dalla patria.


Nasser Ali (Mathieu Amalric), romantico e malinconico violinista di successo, decide di togliersi la vita dopo che la moglie distrugge il suo preziosissimo strumento. Nonostante la ricerca forsennata di un nuovo violino in botteghe lontane e pittoresche, il musicista giunge alla conclusione che non esiste un motivo per continuare a vivere. Si rinchiude così nella sua stanza, una sorta di eden mentale dove le digressioni dell’immaginazione diventano il leitmotiv di una narrazione fiabesca, che sembra miscelare il sogno felliniano con il tono ironico caratteristico de Il favoloso mondo di Amelie. Ecco allora che, lentamente, dalle nebbie dell’immaginazione emergono vecchi ricordi, in cui Nasser rievoca il fantasma della donna amata e della grande delusione ad essa legata.


C’è qualcosa di assolutamente romantico nell’opera della Satrapi. A ben vedere, Pollo alle prugne si può considerare come una pellicola sull’amore, in tutte le sue forme. Nasser Ali, per tutta la vita, inseguirà il fantasma di una donna lontana, conosciuta in un non precisato momento storico, in una dimensione quasi onirica, resa perfettamente dalla regia delicata della regista, che usa una cromaticità dai colori caldi e accesi che rifuggono qualsiasi classificazione di realtà. Allo stesso tempo, però, la tragedia che dà il via alla narrazione - e che trova il suo macguffin nel violino - è un atto disperato d’amore: la colta e poco affascinante Faranguisse (Maria De Medeiros), sposata più per convenienza che per effettivo sentimento, fa a pezzi lo strumento del marito per attirare la sua attenzione, per tentare di scostare il velo dietro il quale Nasser si è sempre nascosto e che la esclude irrimediabilmente. D’altro canto, tuttavia, sarebbe riduttivo pensare a Pollo alle prugne come ad un semplice film sentimentale. La filosofia della Satrapi, già emersa in modo eccellente in Persepolis, accompagna tutta la diegesi, raccontando la situazione paradossale di un musicista che non riesce a far parte del mondo. Se, da un lato, la musica dovrebbe permettergli di entrare in empatia con le persone che lo circondano, dall’altra la sua eccezionale individualità gli impedisce di far parte di quella stessa realtà che disprezza, e dalla quale scappa grazie alla sua forza immaginativa. Un cenno va fatto all’habitat entro cui tutti i personaggi del film si muovono. La Teheran degli anni ’50, dove la regista ambienta la sua storia di malinconia e poesia, è una città che, pur non nascondendosi, finisce comunque per celare gli aspetti più negativi. È una sorta di terra di mezzo, dove bellezza e orrore si mescolano di continuo, rimandando allo spettatore l’idea di un mondo incantato ma pericoloso, dove il dolore è sempre in agguato.


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