All’ombra di Goethe e Thomas Mann, Alexander Sokurov dirige il grande dramma tedesco: la storia del sodalizio tra Faust e Mefistofele, l’incontro tra l’uomo e il diavolo. L’epica raccontata è quella di Faust, che attraverso la tentazione vede la possibilità di avere esauditi tutti i propri desideri - siano essi il denaro, una donna o il potere - salvo poi accorgersi che, ottenuto ciò che tanto brama, non gli resta che la noia, o in alternativa il dolore. È la più grande storia di hybris mai scritta. L’uomo che, assistito dal diavolo tentatore, sfida qualsiasi morale o remora, rinunciando a tutto quello che di buono c’è in lui pur di ottenere ciò che desidera. Faust è la tragedia tedesca per eccellenza, diventata nel corso dei secoli un racconto universale che racchiude in sé tutte le componenti dell’animo umano, prima fra tutte l’incapacità di accontentarsi. Quella di Faust è probabilmente, dopo l’Odissea, la storia più romanzata e trasposta della storia della letteratura. Ciò che distingue la messa in scena di Sokurov dalle precedenti è, oltre all’accurata ricostruzione filologica e linguistica dei dialoghi, la capacità di aver caricato ulteriormente la vicenda di un significato assoluto e universale. Che il regista russo fosse interessato - fino a costituirsi come una vera e propria poetica - al tema del potere, in senso di forza superiore che spinge al Male e all’aberrazione, lo si comprendeva già guardando la cosidetta “trilogia del potere”, nel racconto dei personaggi di Hitler, Lenin e Hiroito delle pellicole Moloch (1999), Taurus (2001) e The Sun (2005). Dirigendo Faust il regista non parte da un personaggio storico, ma considera la lunga discesa agli inferi di un soggetto universale, un uomo, di cultura e integrità che, non solo non resiste alla tentazione demoniaca, ma accetta di buon grado qualunque patto sciagurato. La caratteristica di questa pellicola è il rapporto, del tutto unico che si stabilisce tra il protagonista e Mefistofele: non una violenza del secondo sul primo, e nemmeno una lusinga, ma quasi un’amicizia, un sodalizio virile che porta i due ad una condizione di assoluta fiducia reciproca che finirà per riversarsi drammaticamente sull’indifesa Gretchen, incapace di contrastare, in terra, quest’unione tutta maschile. Il potere è per Sokurov (così come lo era per gli autori precedenti) una battaglia solo virile: per questo l’intera vicenda è incentrata sui due protagonisti, mentre la donna si limita ad essere una preda. La potenza di questo Faust è la capacità del suo regista di aver delineato, con un budget limitato – le riprese sono girate per lo più tra Repubblica Ceca e Germania - e un cast di attori sconosciuti (perlomeno al pubblico italiano), una storia malvagia ma assolutamente intensa, curata nei minimi dettagli. Oggetto di cura maniacale sono in particolare, per Sokurov, la lingua e i dialoghi che rispettano con assoluta fedeltà il testo - o meglio i testi. Punto di partenza per questa epica sono, ovviamente, l’opera di Goethe, ma anche il Doctor Faust di Thomas Mann, opere scritte rispettivamente negli anni ’30 dell’Ottocento e nel 1947. Del tutto meritato il Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia 2011.