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Romanzo di una strage

28/03/2012 10:00

Martina Calcabrini

Recensione Film,

Romanzo di una strage

Davanti al successo di un film e di una serie televisiva come Romanzo Criminale, era inevitabile che molti registi italiani realizzassero film ispirati ad impor

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Davanti al successo di un film e di una serie televisiva come Romanzo Criminale, era inevitabile che molti registi italiani realizzassero film ispirati ad importanti avvenimenti della nostra storia nazionale. Dopo Stefano Sollima con A.C.A.B., tocca a Marco Tullio Giordana che posiziona la macchina da presa sulla strage di Piazza Fontana.


Milano, 12 Dicembre 1969. Una giornata come tante, almeno in apparenza. Alle 16.37 una potente esplosione devasta la Banca Nazionale dell’Agricoltura mietendo 17 vittime e 88 feriti. Contemporaneamente, Roma viene colpita da tre bombe e strani movimenti rivoluzionari iniziano ad affollare le più importanti città italiane. La questura di Milano è convinta della colpevolezza della pista anarchica e condanna i maggiori esponenti del movimento. Dopo mesi di analisi, verifiche e confessioni contrastanti, la polizia inizia a pensare che la strage sia frutto di una cospirazione tra il movimento neonazista e i servizi segreti. La strage di Piazza Fontana, però, è soltanto uno dei violenti attentati che si sono succeduti negli anni di piombo. Dopo 33 anni di processi, la giustizia italiana non ha fatto il suo dovere: senza un colpevole né un movente, il mistero è rimasto insoluto e il responsabile è ancora a piede libero.


Romanzo di una strage è un film ricco di storia, pieno di vita (e di vite) e, contemporaneamente, saturo di morte. Sono molte le pagine della storia italiana ad essere talmente dense di avvenimenti da non poter essere sintetizzate in alcun modo. E proprio questo è il grande errore in cui cade Giordana: la sceneggiatura scritta a sei mani dal regista con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, non riesce a privilegiare un evento rispetto agli altri. La pellicola è divisa in diversi capitoli, ruota attorno a vari personaggi, racconta tante (piccole) storie. E se il punto focale è il Commissario Calabresi, un elegante e raffinato Valerio Mastandrea, spalleggiato da un magistrale Pierfrancesco Favino (dall’insolito accento milanese), la vicenda procede inesorabile, senza guardarsi mai indietro. Cartelli insanguinati tramutano la pellicola in un vero e proprio dramma processuale, pieno di indizi, testimonianze, verità e bugie, che confondono i personaggi e gli spettatori. In un mondo in cui nessuno crede più alla giustizia né alla fede, è ineluttabile che prima o poi si smetta di lottare. Marco Tullio Giordana ha avuto il coraggio di portare in scena un evento tanto grave e doloroso che riguarda, nel profondo, ognuno di noi. Dedicato ai parenti delle vittime che “non hanno avuto giustizia ma sono stati costretti a pagare le spese processuali”. Se viene spontaneo chiedersi se la giustizia è ancora giusta, allora il regista ha colpito il bersaglio: la già vacillante coscienza collettiva.


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