Un gruppo di giovani turisti parte per una vacanza a Pripjat, la città ucraina che dopo l’esplosione nel 1986 del reattore nucleare di Chernobyl, è disabitata e meta perfetta per gli amanti del brivido. Giunti a destinazione però i sei ragazzi si accorgeranno delle inquietanti anomalie presenti in città fino a realizzare, in un climax di paura, che ad abitarla non sono solo animali feroci ma anche strane e minacciose presenze. Opera d’esordio per Brad Parker al suo primo lungometraggio per la grande distribuzione. La scelta è ricaduta su un horror atipico, d’ambientazione storica, se così si può dire, tratta da The Diary of Lawson Oxfor, un soggetto di Oren Peli, già sceneggiatore e produttore di Paranormal Activity, opera low budget di incerta riuscita ma di grande impatto. Chernobyl diaries parte come un comune horror, sulla scia della tradizione: un gruppo di giovani turisti si trova a fronteggiare una situazione di pericolo che finisce per eliminarli uno dopo l’altro finchè, come si dice, “ne resterà uno solo”. Il film di Parker però, pur facendo proprio questo tema, lo amplia collocando la vicenda in una situazione che in passato è stata di reale pericolo e che ancora oggi evoca deformità, malattia, morte. La trovata è lodevole. Non fosse per tale ambientazione la pellicola sarebbe poco più del solito film di paura rivolto a un pubblico giovane: dialoghi imbarazzanti, attori trascurabili, montaggio forsennato e silenzi. Invece quel poco che inquieta di Chernobyl diaries è proprio il riferimento ai fatti reali di Chernobyl, la cui documentazione fotografica e video delle disastrose mutazioni genetiche sui bambini nati nel 1986 ha senz’altro fatto da fonte per il regista. Pur apprezzando l’intuizione originale e il coraggio di sceneggiatore e regista di aver saputo osare e andare oltre i fortunatissimi zombies, l’ostinata possessione diabolica e i modaioli vampiri, un dubbio etico sembra sorgere. È forse corretto, in nome del botteghino o della riuscita artistica di un prodotto cinematografico, sfruttare il potenziale emotivo che una tragedia reale ancora ha sullo spettatore? E fino a che punto per il genere horror è ormai lecito spingersi nella ricerca del macabro? Abbattute le soglie del pudore in ogni genere di esorcismo e demolito il legittimo buon gusto per la rappresentazione di truculenti assassinii, non resta ormai che il buon senso legato alla raffigurazione – seppur irreale - di una catastrofe assoluta dello scorso secolo. È pur vero che, vista la mediocrità della pellicola di Brad Parker e più in generale delle altre legate al genere, occorrerebbe forse parlare ancor prima che di limiti morali, di prevedibile e comprensibile esaurimento di idee, laddove davvero, per vendere, si è sperimentato di tutto.