Con prodotti come Nameless, Darkness, Fragile e la dilogia di Rec, Jaume Balaguerò si è confermato a tutti gli effetti il miglior rappresentante del cinema horror spagnolo contemporaneo. Stanco di mostrare un orrore esplosivo e contaminante, il regista catalano realizza un thriller adrenalinico che agli effetti speciali sanguinolenti preferisce l’attesa e l’immaginazione di una paura senza volto. Cesar è il portiere di un lussuoso palazzo al centro di Barcellona. È un uomo solo e depresso che lotta quotidianamente contro l’istinto di suicidarsi. Mentre la sua vita si ripete sempre uguale, giorno dopo giorno l’uomo annota gli spostamenti di tutti i condomini, ne conosce i dettagli più intimi, ne condivide i segreti. Inizia così una sorta di gioco perverso: il portiere dispensa dispetti a tutti, ignari che il colpevole sia proprio il loro confidente. E così, mano a mano che l’infelicità si diffonde nel palazzo come un virus, Cesar si sente meno solo e, quasi, felice. Lo stile registico di Balaguerò è assolutamente inconfondibile. La macchina da presa accompagna sinuosa i personaggi, si adatta alle loro abitudini, ne condivide i momenti di attesa. Cesar vive aspettando il momento giusto per agire e torturare la prossima vittima. La sofferenza dei malcapitati, però, deve giungere gradatamente, devastando lentamente la parvenza incontaminata della loro felicità. Voyeur solitario che guarda la vita da lontano, come un fruitore annoiato che attende il climax dello spettacolo, Cesar studia i movimenti delle sue prede prima di sceglierle. Clara, bella, giovane e innamorata del suo fidanzato è la vittima perfetta: “riuscirò a cancellargli quel sorriso dalla faccia” si ripete quotidianamente, passando il giorno a pensare a come renderla triste e, la notte, a fare in modo che succeda. Un orrore quotidiano che lacera inconsapevolmente nel profondo, che svuota, che convince a pensare che non valga la pena di vivere. Le sequenze si ripetono lunghe e monotone, scandite soltanto dalle annotazioni sull’agenda di Cesar. Gli unici rumori vengono dall’esterno e cozzano prepotentemente con l’ermetismo e la reclusione volontaria del protagonista. Il montaggio, affidato alle sapienti mani di Guillermo de la Cal, è freddo, spento, proprio come la fotografia naturalistica curata da Pablo Rosso. La maestria del regista e del fido sceneggiatore Alberto Marini risiede proprio nell'inusuale capacità di smorzare la suspense della vicenda con continui depistaggi e (false) risoluzioni dei misteri, per accrescerne la tensione una volta riacquisiti i sospetti. Bed time si delinea subito come una pellicola tesa che, avvicinandosi alla struttura di un thriller psicologico e claustrofobico, riecheggia nei suoi cupi antri suggestioni Depalmiane.