L'ex delinquente, ora redento, Rambo si ritrova, subito dopo la morte dell'amico Pino, ad indagare sul rapimento del figlio del Dottor Marsili. Le indagini lo porteranno a scontrarsi con due bande di criminali. Il cinema di genere italiano non ha mai nascosto la sua ammirazione per i modelli statunitensi. Fonte d'ispirazione preziosa, sopratutto quando si parla di poliziesco o, ancor più in generale, di pellicole d'azione. Il giustiziere sfida la città non fa eccezione, anzi, amplifica tale tendenza, inserendosi nel solco “post-western” tracciato da Don Siegel nel 1969 con L'uomo dalla cravatta di cuoio, senza per questo mascherare oltremodo il suo intento principale: omaggiare, urbanizzandolo, Per un pugno di dollari di Sergio Leone. Umberto Lenzi, come Siegel del resto, prende di peso l'icona che fu western Tomas Milian (così come il collega americano fece anni prima con Clint Eastwood) al fine di ricontestualizzarla in un ambiente cittadino: la giunga è d'asfalto, il cavallo si traveste d'acciaio. Milian viene presentato allo spettatore fiero, trasandato e in sella ad una motocicletta: il gioco è fatto, l'uomo che rese celebre lo straccione Cuchillo si è trasformato in un ex delinquente redento dalla barba incolta. A cambiare è lo scenario, ma non le dinamiche della trama, ancora una volta profondamente western. Ne consegue che Il giustiziere sfida la città riesca a guadagnarsi considerazione e interesse critico non tanto per l'efficacia superficiale dell'operazione (dignitosa si, ma a conti fatti tra le performance minori di Lenzi), quanto per i suoi sotterranei rimandi di genere in genere, capaci di caratterizzarlo come interessante esperimento di crossover tra l'industria italiana dei precedenti '60 (marcatamente di stampo western) e quella dei '70, fortemente interessata a produzioni di marca action/poliziesca. Questo senza dimenticare il look di Milian, trucco e parrucco che verrà ripreso in Squadra antiscippo, ovvero quando inizierà la parabola seriale del suo personaggio maggiormente conosciuto a livello popolare. Secondo dei cinque film interpretati dall'attore cubano sotto la ferma guida di Lenzi, Il giustiziere sfida la città si configura già nella sua prima metà come pellicola di passaggio, non un mero esercizio di stile intendiamoci, bensì un'operazione emotivamente rilassata e nel complesso da sufficienza abbondante, lontana dai picchi di eccellenza raggiunti dal precedente e viscerale Milano odia: la polizia non può sparare o dall'equilibrismo in patchwork e a tratti sperimentale del ritmato e immediatamente successivo Roma a mano armata. A modo suo un film da tenere comunque in considerazione, non fosse per il nome del protagonista, quel Rambo che Milian volle assolutamente appiccicarsi addosso, perché folgorato dalla lettura di First Blood di David Morrell, romanzo che sei anni dopo l'uscita della pellicola di Lenzi avrebbe ispirato l'omonimo Rambo di Ted Kotcheff.