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Su Re

19/02/2013 12:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Su Re

A dodici anni di distanza dal poco fortunato noir Arcipelaghi, Giovanni Columbu torna nella natia Sardegna con un'ambiziosa opera seconda: una lettura personale

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A dodici anni di distanza dal poco fortunato noir Arcipelaghi, Giovanni Columbu torna nella natia Sardegna con un'ambiziosa opera seconda: una lettura personale ed incrociata attraverso i quattro Vangeli della Passione di Cristo, ambientata sull'isola tirrenica, interamente recitata in sardo, con attori non professionisti.


Esistono film che sono opere esteticamente disturbanti, sgraziate in ognuna delle componenti che definiscono un prodotto artistico, dalle ambientazioni alle atmosfere. Su Re è uno dei più compiti esempi di questa definizione: un film ruvido e sgradevole, per dichiarata intenzione del regista, esplicitamente lontano dal sacro e quanto più prossimo invece a tutto ciò che è fisico, materico, corporale. Ma se pure, con conseguente spiazzamento del pubblico, il compiacimento di Columbu per una certa estetica del brutto può persino essere accettato nella chiave di una lettura autoriale, personale e autonoma dei Vangeli, ciò che perplime maggiormente è l'ostinato divergere dalla sfera teologica e sacrale, in favore di una messa in scena popolare, che ricorda l'ingenuità e la grettezza di certe feste di paese. Pur comprendendo la fascinazione che il rito popolare può avere su un cineasta che sceglie tale poetica, un autore dovrebbe rendersi conto che un'Ultima Cena attorno al fuoco con attori dai volti da pastore, riesce a non apparire grottesca solo di contro ad una messa in scena “nobile” e aulica. Oppure, pasolinianamente, essere in grado di trovare la grazia anche nel contesto apparentemente più spoglio. E invece, per restare nell'area semantica del sacro, al film di Columbu, tenuto in piedi da una vaga pretesa di autorialità, manca qualsiasi aura di pietas o almeno di commozione. Unici punti di riuscita rappresentazione sono il set sardo che, non poi molto diversamente dai Sassi di Matera scelti da Mel Gibson, conserva una certa antica spoglia ruvidezza - valorizzata dalla fotografia di Massimo Foletti, Uliano Lucas, Francisco Della Chiesa - e la scelta di non indugiare, diversamente da Gibson, su particolari violenti, pulp o sadici, rendendo la violenza con dei riusciti fuori campo solo sonori, come il martello sui chiodi o le frustate. Per il resto, costituisce un unicum la capacità del regista – davvero eccezionale in una Passione, per stessa etimologia, qualcosa che si lega al pathos, alla sofferenza – di aver cancellato dalla rappresentazione cristologica qualsiasi forma di sacralità, non solo legata al divino, ma anche solo al dolore e al coinvolgimento dello spettatore. Diversamente dalle sue intenzioni populistiche, Su Re unisce in sé una serie di elementi che allontanano bruscamente il pubblico dalla vicenda sullo schermo: oltre al totale distacco dalla tradizionale rappresentazione dei protagonisti (primo fra tutti il Gesù di Fiorenzo Mattu) - quasi tutti attori non professionisti - e all'ostacolo linguistico del sardo, a confondere lo spettatore c'è soprattutto la complicata scrittura del film. La sceneggiatura, che alterna diversi punti di vista in linea con i diversi stili dei quattro Evangelisti, si sviluppa infatti in un lungo flashback – artificio che già di per sé genera distanza con i fatti narrati – che dalla Pietà torna indietro alla Crocifissione e, in progressione, con una intricata struttura a-cronologica, tocca tutti gli episodi della Passione, dall’Ultima Cena al tradimento di Giuda, dai Getsemani alla Colonna, sino ala Via Crucis.


Per il film di Columbu è stato scomodato tanto il paragone con Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini e con il più scandaloso Caravaggio, quanto con l'irriverente duo Ciprì e Maresco; ma se la pellicola di Pasolini e la pittura dell'artista seicentesco hanno in comune una bellezza e una solennità di rappresentazione che sfugge del tutto al regista sardo, alle opere dei due autori e registi siciliani Su Re invidia quello spirito dissacrante che inevitabilmente ha talvolta un contenuto di rottura superiore ad una (ennesima) Passione di Cristo con intenzioni antropologiche.


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