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The Host

28/03/2013 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

The Host

Da qualche anno il termine young adult è spesso associato – almeno in ambito cinematografico – alla saga di Twilight, l’evento prima letterario e poi filmico ch

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Da qualche anno il termine young adult è spesso associato – almeno in ambito cinematografico – alla saga di Twilight, l’evento prima letterario e poi filmico che in pochi anni ha conquistato il mondo. Il rischio è che ad ogni pellicola fantasy indirizzata ai teen-agers il paragone con la saga vampiresca scatti a priori. È successo con Hunger Games, Warm Bodies e l’ultimo Beautiful Creatures; un rischio che colpirà sicuramente anche The Host, il nuovo film di Andrew Niccol. Questa volta, tuttavia, il paragone sembra giustificato dall'ispirazione letteraria del romanzo L’ospite di Stephenie Meyer.


In un futuro distopico la Terra è stata conquistata e colonizzata da una razza aliena che si insinua nei corpi delle proprie vittime, impossessandosene. Apparentemente gli alieni sono esseri relativamente pacifici, desiderosi soprattutto di apprendere le regole e le leggi del pianeta per riportarlo alle condizioni precedenti ai danni provocati dagli umani. Un piccolo gruppo di ribelli, tuttavia, cerca di fronteggiare la minaccia dell’annientamento. Tra questi, Melanie (Saoirse Ronan) che, insieme al fratellino Jamie (Chandler Canterbury) e all’innamorato Jared (Max Irons), cerca di sopravvivere e sfuggire alle grinfie della "cercatrice" (Diane Kruger), dopo che l’alieno Wanderer è stato trapiantato nel corpo della ragazza. Così, mentre Melanie cerca in qualche modo di riappropriarsi della propria vita, riconquistando l’amore di Jared che la crede ormai persa per sempre, Wanderer scopre l’ampio spettro di sentimenti umani.


Dopo aver riscritto e in qualche modo svilito la lunga tradizione folcloristica legata all’immagine del vampiro, Stephenie Meyer firma una storia fantascientifica dal retrogusto sentimentale, che molto deve – almeno nello spunto iniziale – a classici del genere come L’invasione degli ultracorpi. Al di là del mero discorso di stampo romantico, ad entrare in gioco sono soprattutto riflessioni inerenti il libero arbitrio e il confine sempre più labile che separa il bene dal male, la luce dal buio. Tutto questo viene ripreso da Niccol – dopo aver diretto una pietra miliare del genere come Gattaca – in una pellicola che appare visibilmente discontinua. La prima parte del film, introducendo i personaggi e mettendoli di fronte ad un mondo alienato nel suo asettico aspetto estetico, propone uno spettacolo in cui spunti e potenzialità sembrano pronti ad esplodere, anche grazie ad attori che rendono credibili i dilemmi morali dei personaggi. Il mondo di Niccol è diviso da una parte in città aliene, pregne di luce fredda e grigia, vuote di vita sebbene popolati da milioni di invasori; dall’altra, un deserto iconografico, assolato, dove la povertà di flora e fauna viene in qualche modo sopperita dalla lotta per la sopravvivenza. Ben presto, però, The Host finisce col ripiegarsi su se stesso, riproponendo schemi drammaturgici prevedibili se non già visti: ecco allora che viene ripresentato l’ennesimo triangolo amoroso - o meglio quadrato, visto che Melanie ospita due personalità - e la pomposa battaglia per difendere il pianeta si risolve nel deludente scambio di battute dell'inesorabile happy ending. A mancare è il vero contrasto con l’Altro, figura simbolica imprescindibile del genere fantascientifico, che dovrebbe spingere lo spettatore verso una realtà di puro terrore. Il corpo estraneo, che si insinua nel nostro mondo in maniera quasi invisibile, invece, finisce con l’essere una versione leggermente traslitterata dei normali umani, arricchita da qualche effetto visivo (come la pelle abbacinante dei vampiri in Twilight), ma senza l’elemento disturbante né il serpeggiante pericolo di pellicole ben più paurose.


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