L’idea di un terzo film sulle avventure del supereroe proveniente da Krypton era già matura ancor prima del termine delle riprese di Superman II. Ma se il primo sequel covava già i germi di una parabola cinematografica discendente, per i tagli e la rilettura inferta al materiale filmato da Donner, la conferma di Richard Lester alla direzione di questo ulteriore episodio, lascia presagire che i sentori avvertiti non fossero del tutto malriposti. Gli screzi produttivi poi, fecero il resto: come alla famiglia Salkind va dato il merito di aver acceso i riflettori contemporanei sull’universo supereroistico, così gli stessi produttori sono anche i maggiori responsabili della rottura diasporica con alcune colonne di tale operazione. Dopo Brando e Donner, liquidati entrambi per motivi finanziari, la serie di Superman resta orfana anche di Gene Hackman, e la stessa Margot Kidder viene relegata ad una comparsata. Vuoti da riempire che offrono comunque a Lester, e ai Newman sceneggiatori, l’incentivo ad evitare la ripetizione dello schema narrativo dei precedenti episodi.
Mentre Clark Kent torna a Smallville, suo paese d’infanzia, per scrivere un articolo sulle riunioni dei vecchi compagni di scuola, Gus Gorman (Richard Pryor), scoperto a sottrarre per via informatica ingenti somme di denaro alla compagnia per cui lavora, viene minacciato e incaricato dal suo capo, Ross Webster (Robert Vaughn), di individuare, attraverso un programma satellitare, la composizione chimica della kryptonite, per far riprodurre in laboratorio l’arma che può uccidere Superman. Il meteorite sintetico però ha degli effetti diversi da quelli che ci si sarebbe aspettati: invece di provocare la morte del supereroe, lo rende maligno, disinteressato ai problemi degli umani, dimentico della sua stessa missione sulla Terra. Situazione ideale per Webster e compagni, di portare a compimento la propria subdola strategia per conquistare il controllo economico dell’intero pianeta. Intanto il povero Gurman a sua insaputa si ritroverà a costruire un super computer in grado di distruggere il pur rinsavito supereroe.
L’imitazione parossistica di Superman, nel quale Pryor si esibì al Tonight Show gli valse il lasciapassare per entrare da co-protagonista nella produzione di Superman III. Dalla presenza del celebre comico americano si intuisce l’impronta conferita alla pellicola, che in effetti – almeno nella sua prima metà abbondante – non è che il rutilante susseguirsi di slapstick, improvvisazioni e trovate comiche più o meno riuscite, con tanto di sottotrama amorosa tra Clark Kent e la fiamma del liceo Lana Lang. E dal ritorno al luogo d’infanzia, e la leggerezza che ne consegue, sembra derivare il tono burlesco di questa prima parte, che giocherella sull’irrisione del tema manicheistico dei buoni contro i cattivi, arrivando, più o meno volontariamente, a confondere i termini di paragone di tale lotta. Proprio nell’interpretazione di un Superman malvagio, burbero e collerico, risiede il migliore risvolto della narrazione; ma, escluso Reeve, lo sviluppo della trovata in sé è vittima del tono generale del film, in cui la ricerca della gag ad ogni costo rende il supereroe votato al male un gonzo più dispettoso che realmente inquietante. E tra una battuta ed un’altra, si intravedono i sintomi incipienti – alle porte della quinta generazione dell’informatica con la rivoluzione tecnologica della ILM di Lucas già avviata – della sindrome da riarmo digitale, nella cui febbricitante rincorsa risiede probabilmente un inconscio segnale di soccorso lanciato al mondo dei computer, unico mezzo per risollevare una serie ancorata alle magie visive di Roy Field ma giunta, con questo e il successivo episodio, ai minimi livelli storici di gradimento.