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Romeo e Giulietta

07/11/2013 12:00

Davide Stanzione

Recensione Film,

Romeo e Giulietta

La celebre tragedia di William Shakespeare nelle mani di Franco Zeffirelli si è tradotta in un classico immortale e popolare, una visione proverbiale e immancab

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La celebre tragedia di William Shakespeare nelle mani di Franco Zeffirelli si è tradotta in un classico immortale e popolare, una visione proverbiale e immancabile per generazioni e generazioni. Un adattamento filologico in tutto e per tutto che vedeva la luce nel cruciale 1968 intercettando, più di quanto si possa superficialmente pensare, umori e controversie del periodo, dallo slancio ribellistico giovanile (individuabile nei facinorosi Mercuzio e Tebaldo) al rapporto frastagliato e combattuto dei figli coi padri. Perché Romeo e Giulietta resta il dramma familiare per eccellenza oltre alla storia romantica più famosa del pianeta, e allora quale momento storico migliore del ’68 per sottolinearne l’attualità e i motivi d’interesse rapportati al nostro contemporaneo? Un’operazione di rilettura non da poco, se si considera che il racconto della giovane unione dei veronesi si presterebbe più di ogni altro ad essere mortificato nella citazione sterile, nella volgarizzazione da cartolina che pure è largamente praticata dai più.


Un rischio che Zeffirelli aggira magistralmente in quello che è senz’appello il suo film migliore in mezzo a una manciata di titoli discutibili, a voler usare un eufemismo. L’origine di tale eccellente riuscita non può non essere ravvisato nel taglio teatrale, che lascia comunque degli spiragli per una recitazione meno enfatica e più cinematografica. Ma la vera ragione che fu capace di rendere il Romeo e Giulietta zeffirelliano il più rinomato in assoluto tra le varie versioni per lo schermo (la metà risalenti all’epoca del muto, tra cui quella hollywoodiana di George Cukor) è da ricercare nella peculiarità degli interpreti: Leonard Whiting e Olivia Hussey, per volontà del regista assolutamente vicini all’età effettiva del Romeo e Giulietta shakespeariano, con la loro virginale purezza riescono comunque a sembrare assolutamente perfetti come attori, al di là dell’inesperienza e dei loro limiti recitativi. La loro relazione vive e pulsa di rossori e palpiti amorosi senza rinunciare a un candore erotico fortissimo, incentrato splendidamente sui contrasti, accentuando la fusione tra i lineamenti più spigolosi e aguzzi di Romeo e le rotondità acerbe ma morbide e accoglienti di Giulietta.


Un’innocenza solo sulla carta, che li rendeva non poco prossimi alle giovani menti di quegli anni, pervase da un’ansia di ribellione notevole ma costrette giocoforza all’agire di soppiatto, all’ipocrisia di facciata che in determinati ambienti, soprattutto in quelli familiari, velasse i loro legittimi fremiti adolescenziali. Quando si dice che l’unica trascrizione pop è Romeo+Giulietta di Baz Luhrmann si fa quindi un’affermazione solo in parte veritiera, senza nulla togliere alla trasposizione forsennata e visionaria che contraddistingue il film del regista australiano, i suoi colori saturi, le sue esasperate dinamiche da videoclip. Dopo La bisbetica domata (1967), Zeffirelli confermò con la tragedia shakespeariana tutta la sua sapienza di neoclassico, magari un filino manierista e patinato (nulla rispetto a ciò che sfornerà in seguito), ma di sicuro efficace. Il suo film, colto da un successo sconfinato all’epoca, è per altro fedelissimo all’originale, rispettoso nelle scenografie e, quel che più conta, con ancora qualcosa da dire. Non si può però celare un sospetto: senza il memorabile theme di Nino Rota ad accompagnare i lampi d’amore e le indimenticabili accensioni febbrili tra i due protagonisti con la puntualità di un orologio svizzero, molto probabilmente non sarebbe stata la stessa pellicola.


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