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The Well

24/11/2013 12:00

Valentina Pettinato

Recensione Film,

The Well

La separazione vissuta dagli occhi ingenui di una ragazzina

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The Well è il film che il regista australiano Michael Rowe porta in concorso al festival di Roma, secondo lavoro della sua trilogia sulla solitudine, iniziata nel 2010 con Año bisiesto, già premiato a Cannes. La pellicola di indiscutibile raffinatezza estetica ma dai tratti poco empatici fatica a coinvolgere lo spettatore, sebbene il tema sia molto attuale e abusato, racconta infatti la storia di una separazione vissuta dagli occhi ingenui di una ragazzina.


La protagonista del film è Caro, una bambina dai genitori appena divorziati, alle prese col trauma che da tutto ciò consegue. Trasferitasi con la madre e il nuovo compagno da Città del Messico in un piccolo paese, la bambina trascorre le sue giornate in un giardino sinistro, che diventa un luogo dove, al riparo dalle ingerenze del patrigno e lontana da una madre troppo impegnata nella sua nuova relazione, Caro tenta di ricostruire i pezzi della sua vecchia famiglia, attraverso foto del passato.


L'interessante iter narrativo descrive il disagio della bambina attraverso un processo di naturalizzazione che la trasforma in parte integrante di questo giardino, all'interno del quale Caro proietta la figura di suo padre (un entomologo) e cerca un rifugio dove custodire i suoi ricordi. In quel pozzo che dà il titolo al film si costruisce una nuova dimensione dove la piccola protagonista riesce a estrinsecare il suo autismo sentimentale: solo in quel luogo, negli inferi di un giardino dove è certa che nessuno possa sentire i suoi veri sentimenti, Caro torna ad essere quella che è. Il film porta a casa il risultato: l'anaffettività come precipitato del trauma derivanti dalla fine di una famiglia traspare perfettamente dalle scene pulite, essenziali, in cui la macchina da presa ad altezza bambina mostra il suo incedere per tutta la narrazione. Senza arzigogoli scenici, senza grandi sequenze, in questa sterilità stilistica è riposto il significato stesso della pellicola, che tenta di rappresentare tutte le varie fasi del disagio. Dal mutismo al tentativo di ricostruzione in isolamento di ciò che si è distrutto fino alla perdita di ogni speranza e al gesto estremo come reazione ad un sopruso: ovvero che da una bambina si pretenda l'oblio.


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