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Lettera al Presidente

14/01/2014 12:00

Paolo Sammati

Recensione Film,

Lettera al Presidente

2 giugno 2013...

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2 giugno 2013. In attesa dell’apertura delle porte del Quirinale, tre uomini parlano tra loro, fiduciosi di poter visitare i giardini nonostante la fila. Quarantaquattro anni prima, nel 1969, quegli stessi uomini, allora bambini, firmavano una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Erano passati pochi mesi dallo sbarco sulla Luna e i tre amici chiedevano al Presidente un aiuto per andare su Marte.


Questa la cornice per il viaggio di Marco Santarelli alla scoperta degli archivi della Presidenza della Repubblica, dove sono raccolte le migliaia di lettere che i cittadini italiani hanno indirizzato ai loro presidenti dall’immediato dopoguerra ai giorni nostri. Il tentativo di Santarelli di intessere una storia utilizzando fonti epistolari originali, selezionandole e dotandole di significato unitario tramite le tecniche del montaggio, risulta generalmente riuscito. Già in Milleunanotte il regista aveva avuto a che fare con speranze, sogni e rassegnazioni che, ignorate, si esprimono attraverso la scrittura: le fonti erano lettere, pagine, scritte da detenuti e detenute del carcere bolognese della Dozza. L’esperimento narrativo dell’autore, affiancato per le ricerche d’archivio e per il soggetto da Teresa Bertilotti, è effettivamente interessante, soprattutto considerando l’ulteriore difficoltà di abbozzare dei volti per quelle pagine fatte da voci di poche righe, non da personaggi.


Quelle di Lettera al Presidente è un viaggio che si conclude il 1° dicembre 1969, poco prima dei fatti di Piazza Fontana. Era ancora l’Italia della ricostruzione, del boom economico, della lavatrice e dell’allunaggio, della televisione e della conseguente “immagine del Presidente”. Una nazione diversa, più ingenua e piena di speranze, raccontata in maniera nostalgica da un punto di vista assolutamente inedito. Purtroppo dopo un alternarsi di storie interessanti ad altre semplicemente banali, lo spettatore avverte incombente l’ombra della retorica, quella sensazione che fa pensare al film di Santarelli come ad un buon esperimento tecnico, strutturale, pericolosamente ridondante e ripetitivo, oltremodo didascalico e nostalgico. Resta però un constatazione piuttosto amara: in un periodo come quello che viviamo, caratterizzato da polemiche e accuse a cui il Presidente della Repubblica pare non essere più immune, fa un certo effetto la testimonianza del calore della popolazione intorno alla figura del Capo dello Stato ai tempi di Einaudi, Gronchi, Saragat. Sarà che cambiano i presidenti, sarà che cambia la gente.


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