
Nel 2010 era stato il regista nipponico Toshizaku Nagae a tentare di dare nuovo alito al già sfruttato franchise di Paranormal Activity, creando una sorta di rilettura giapponese alla saga horror con il suo Paranormal Activity – Tokyo Night. Ora tocca a Christopher Landon - sceneggiatore dei tre film che seguirono il primo capitolo firmato da Oren Peli - portare al cinema, anche in veste di regista, lo spin-off ufficiale della saga dal titolo tutt’altro che rassicurante. Dopo aver spostato l’attenzione del pubblico su un nuovo nucleo famigliare in Paranormal Activity 4, Landon punta l’onnipresente occhio della macchina da presa su Oxnard, un piccolo agglomerato latino degli Stati Uniti. Jesse (Andrew Jacobson), a pochi giorni dal suo diploma di maturità, assiste, suo malgrado, all’omicidio della vicina di casa, una donna conosciuta nel quartiere come “la strega”. Indagando sull’accaduto il ragazzo scopre di avere strani poteri che il fedele migliore amico Hector (Jorge Diaz) filma con la nuova telecamera. Ben presto, quello che era cominciato come un gioco e una goliardia da tramandare ai posteri si tramuta in un incubo apparentemente senza fine. Tutto è cominciato quando Katie e Micah, i protagonisti del primo Paranormal Activity, piazzarono telecamere ad alta definizione in giro per casa per portare alla luce ciò che succedeva intorno a loro di notte. Camere fisse e inquadrature quasi sempre statiche accrescevano nello spettatore un senso di tensione quasi tangibile, che il più delle volte esplodeva in una bolla di sapone. A distanza di anni, quello stesso concetto stilistico si è evoluto e, al tempo stesso, è tornato alle origini, a quell’estetica derivata da The Blair Witch Project che faceva delle immagini riprese in soggettiva il proprio marchio di fabbrica. Ne Il segnato, infatti, non c’è mai una camera fissa abbandonata a se stessa che riprende fatti soprannaturali; sono sempre i due protagonisti a muoversi verso l’orrore, a puntare l’obiettivo nei recessi oscuri della paura. Tuttavia i meccanismi di rivelazione e di spavento sono rimasti invariati: la solita galleria di personaggi che scompaiono dall’inquadratura alla prima distrazione, porte e assi del pavimento che cigolano, oggetti che prendono vita in maniera del tutto autonoma e così via. Ne consegue che lo spettatore, già ben addestrato ad individuare i procedimenti di disvelamento del demoniaco, rimane tranquillo in poltrona e sviluppa una risposta che somiglia più a quella legata ad una commedia che ad un film dell’orrore.