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Due giorni, una notte

15/08/2014 11:00

Riccardo Tanco

Recensione Film,

Due giorni, una notte

Sandra è un'impiegata che a causa del taglio del personale è a rischio licenziamento...

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Sandra è un'impiegata che a causa del taglio del personale è a rischio licenziamento. Avrà a disposizione precisamente un intero weekend per convincere i propri colleghi a rinunciare a un bonus da 1000 euro che le permetterebbe di tenersi il lavoro.


A tre anni dalla vittoria del Gran Premio della Giuria con Il ragazzo con la bicicletta, I fratelli Dardenne tornano in concorso in quella Cannes che tanto li ha premiati in passato, con la loro nuova opera Deux Jours, Une Nuit, affidandosi completamente al corpo e al volto dell'attrice Marion Cotillard. Girato e concepito con il solito rigore stilistico tipico dei fratelli belgi, la pellicola ripropone l'estetica tipica dei Dardenne: messa in scena scarna, pochi e indispensabili movimenti di macchina e la ricerca di un realismo scenico che da sempre contraddistingue la loro poetica. Il preciso meccanismo narrativo racconta l'epopea della protagonista Sandra che, obbligata a convincere i propri colleghi a rinunciare a dei soldi per mantenersi il lavoro, bussa alle porte di tutti in cerca di risposte e conferme ottenendo spesso rifiuti e negazioni. La vicenda si sviluppa con la sempre brava Marion Cotillard dibattuta mentre va a trovare uno per uno gli altri personaggi in un'odissea femminile del precariato lavorativo. Ma quello che doveva essere un pregio della pellicola, il cui modus operandi partiva da una base di racconto per poi liberarsene, ne diventa il limite non solo narrativo - per cui il film non esce e non sbava mai da questo schema bloccato - ma soprattutto si trasforma in un limite di sguardo ideologico e quindi anche politico.


I Dardenne, mai come questa volta, si crogiolano nei loro stilemi autoriali non sapendosi rinnovare in alcun modo, con un marchio di riconoscibilità che però non serve e non porta a niente. Il loro film costringe lo spettatore non solo a essere vittima di un intreccio ingabbiato in una linea retta, ma lo si costringe anche a una presa di posizione etica abbastanza netta, forse socialmente urgente ma inefficace nel rapporto tra chi guarda e l'opera stessa. Nel suo chiedere e richiedere, la Sandra di Marion Cotillard impone uno sguardo unico, un'immedesimazione già predisposta per cui chi accoglie con favore la richiesta di rinunciare al bonus è un personaggio buono e da stimare, di contro chi non vuole farlo deve essere assalito dai sensi di colpa ed è un carattere non raccomandabile e poco gentile. Il contesto messo in scena è quello di una guerra tra poveri in cui vige la retorica del bianco e del nero, dove è chiaro per chi parteggiare e chi disprezzare. Così tra dardennismi di sorta, i fratelli registi non riescono a essere lucidi come nelle loro opere precedenti, imbrigliando lo spettatore in una via stretta e senza uscita, attraverso una pellicola manichea e didascalica che ricatta senza farsi sentire. Dove il discorso sociale può essere accettabile ma è eticamente discutibile.


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