Presentato in occasione della nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Tre Tocchi è l’ultimo lavoro del regista Marco Risi, di nuovo dietro la macchina da presa a un anno di distanza dall’interessante – seppur non riuscitissimo – Cha Cha Cha. Abbandonati i toni cupi e freddi, Risi torna a guardare alla commedia, realizzando una pellicola che fonda il proprio titolo sui tre tocchi dell’ambito calcistico. Il regista guarda al mondo che lo circonda e sceglie una storia dove a dominare sono l’ambizione, la disperazione e la precarietà . Tre tocchi è la storia di sei uomini, tutti alla ricerca di un modo per sfuggire a una vita priva di certezze. Sei aspiranti attori che tentano di arrivare alla notorietà e che, dunque, si troveranno rivali in una corsa al successo sempre più effimera. Dal bello e dannato che fa impazzire le ragazzine, passando per l’uomo disperato che deve convivere con la malattia di un genitore, Marco Risi dipinge volti stanchi, maschili e fortemente stereotipati, che trovano come unica valvola di sfogo comune il campo di calcio. Ci sono molti elementi che Marco Risi ha tentato di inserire in Tre Tocchi. Il ritratto di un'Italia sempre più riconoscibile fra le piaghe della crisi fa da sfondo a una storia che avrebbe potuto offrire mille snodi narrativi. Non solo una riflessione sulla rincorsa ai tanto decantati quindici minuti di notorietà , ma anche un’analisi più approfondita sulla mancanza di consapevolezza di sé. I sei protagonisti, che vogliono sfondare come in una rilettura scialba e povera dei pirandelliani personaggi in cerca di autore, sembrano non tener conto che la loro ambizione possa non andare di pari passo con un effettivo merito. Il regista, invece di soffermarsi su questo dilagare di mediocrità , si limita a concederne una flebile eco. Tutte le buone intenzioni alla base di questo progetto vengono spazzate vie da una sceneggiatura che sembra volersi concentrare sulla goliardia maschile, senza però darle consistenza tale da poter sostenere un racconto. Persino il discorso sul calcio – per cui viene scomodato anche Pier Paolo Pasolini – sembra essere gettato alla rinfusa in un quadro narrativo confuso e privo di anima, talmente insipido da non riuscire nemmeno ad annoiare. Lo spettatore si trova così di fronte ad un prodotto filmico che aspira a essere una commedia riflessiva, ma che invece si contenta di limitarsi a un esercizio di stile.