Un giorno come un altro, inaspettatamente e con una sorridente espressione stampata sul volto, il musicista Dave Neville (Jason Lee) vede irrompere in casa sua tre scatenati ed irruenti scoiattoli parlanti: sono i Chipmunks, tre fratelli con un innato senso della musica ed una vena rock invidiabile, che frutta all'uomo l'inizio di una carriera come manager e produttore dell'insolita band. Tra divertenti gag ed artificiosi nodi emotivi prende piede una storia che vede i quattro scontrarsi contro un manager antagonista che cerca di illudere i chipmunks con promesse di ascesa sociale e facile carriera. Ovviamente, a vincere sul capitalismo più sfrenato saranno i migliori sentimenti, la più blanda emotività ed un gioioso clima che tutto pervade. Il tentativo di portare sul grande schermo uno dei maggiori successi (e intuizioni musicali) dell'animazione mondiale come Alvin Superstar doveva, chiaramente, abbracciare tre generazioni di appassionati. Eppure, come chiunque potrebbe sospettare, il risultato ha lasciato tanta insoddisfazione. Tralasciando il discutibile aspetto tecnico, il film si districa tra irritanti luoghi comuni e fiere retoriche che potrebbero infastidire il più ingenuo degli spettatori, oltretutto facendo uso di un taglio stilistico solo apparentemente smaliziato poiché mirato ad amplificare popolarità e vendite di personaggi e prodotti di successo che ben poco si avvicinano all’originale cartone animato. Lo smielato affetto che intercorre tra Dave e i tre scoiattolini risulta fastidioso ad ogni sua dimostrazione di “amore turbolento”, condizione non strettamente necessaria, e di cui i fan del cartoon e spettatori occasionali avrebbero fatto volentieri a meno. Viene da chiedersi l'effettiva utilità - ad eccetto del rientro economico - di un film che nulla dà al personaggio e che nulla toglie per il semplice distacco che la dignità del vecchio Alvin intende mantenere. Ci chiediamo, inoltre, la necessità di un sequel che amplifichi, ripeta e ricordi i fallimenti di questo primo sfortunato capitolo. Purtroppo la tendenza alla trasposizione cinematografica di vecchie glorie sembra non avere fine.