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Tutto l'amore del mondo

16/03/2010 12:00

Tania Marrazzo

Recensione Film,

Tutto l'amore del mondo

Nicolas Vaporidis è cresciuto, ha finalmente finito il liceo e ha abbandonato i banchi di scuola...

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Nicolas Vaporidis è cresciuto, ha finalmente finito il liceo e ha abbandonato i banchi di scuola. Ma nonostante sia quasi un trentenne proprio non resiste a prender parte all’ennesima commedia generazionale, ormai diventata un appuntamento fisso come i cinepanettoni e i libri/film di Moccia. Tutto l’amore del mondo, distribuito in 300 copie, è il primo lungometraggio di Riccardo Grandi (che aveva lavorato precedente nel settore pubblicitario) ed è anche il primo film di cui Vaporidis è produttore esecutivo insieme a Benedetta Altissimi per la Maori film. La storia è ispirata alla pièce teatrale Interrail di Massimiliano Bruno, che ha inoltre collaborato alla stesura della sceneggiatura.


Matteo Marini (Nicolas Vaporidis), giovane squattrinato e disincantato, viene incaricato dalla società per cui lavora a scrivere in tre mesi una guida turistica dal titolo "Tutto l’amore d’Europa". Con i soldi guadagnati spera di salvare la piccola libreria familiare dallo sfratto in corso, imposto dall’avido avvocato Tommaso De Angelis (Enrico Montesano). Con un budget di 30.000 euro (ad uno stagista!), Matteo parte alla volta dell’Europa con il fotografo Ruben (Alessandro Roja) che a sua insaputa invita anche la sua attuale e scapestrata fiamma Valentina (Myriam Catania) insieme alla migliore amica Anna (Anna Caterina Morariu), ragazza di famiglia benestante appena laureata con il massimo dei voti e prossima al matrimonio. Inizialmente infastidito, lentamente Matteo si affeziona ai suoi compagni d’avventura, soprattutto ad Anna. Fra Inghilterra, Francia, Scozia e Olanda, i quattro amici fanno numerosi incontri e vivono una serie di esperienze profondamente formative, ma soprattutto imparano cosa sia realmente l’amore.


C’è davvero tutta la banalità del mondo in questa pseudo commedia on the road, che non convince da nessun punto di vista. Storia e sceneggiatura altamente prevedibili e a tratti improbabili, personaggi e dialoghi stucchevoli, dinamiche fin troppo stereotipate, perfino l’interpretazione di Sergio Rubini, che nel film è il padre che abbandona il figlio da piccolo, risulta sottotono. Nelle inquadrature da cartolina di Barcellona, come delle altre città europee, Grandi gioca a fare l’Almodovar o l’Allen della situazione senza il talento e l’intensità dei due registi, mostrando allo spettatore immagini fredde e patinate. La colonna sonora sfrutta alcuni dei maggiori successi radiofonici: Squander degli Skunk Anansie, This is the life di Amy Mcdonald e Not Fair di Lily Allen, c’è perfino una citazione malriuscita di Flashdande col brano He’s a dream di Shandi. Una nota di merito alle musiche originali di Michele Braga, autore delle tracce eseguite dagli Honeybird, Sylvie Lewis, The Niro e David Loris in grado di creare sonorità molto coinvolgenti in stile indie folk e pop indipendente. Tutto l’amore del mondo voleva essere un film sul viaggio come esperienza di vita e sull’importanza dei sentimenti, un film fresco fatto tutto da giovani. Ma tutto questo rimane in superficie e le faccette carine di Vaporidis & co. davvero non bastano.


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