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Se permetti non parlarmi di bambini!

18/10/2016 10:00

Eleonora Piazza

Recensione Film,

Se permetti non parlarmi di bambini!

Se permetti non parlarmi di bambini - dal titolo originale Sin Hijos - è la spumeggiante commedia che nel 2015 ha conquistato l’Argentina...

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Se permetti non parlarmi di bambini - dal titolo originale Sin Hijos - è la spumeggiante commedia che nel 2015 ha conquistato l’Argentina. Diretta da Ariel Winograd il film vede la partecipazione di Diego Peretti e di Maribel Verdù, protagonista di Y tu mama también di Alfonso Cuaron. La dinamica è il triangolo. Il non poter scegliere quale di due sentieri percorrere e, brancolando nel buio, rinunciare solo apparentemente a uno dei due, nascondendo l’amante sotto al letto. In questo caso, però, di amanti di troppo non ce ne sono: solo bambini.


Vicky e Gabriel si rincontrano parecchi anni dopo aver avuto una breve relazione e non sanno più nulla l’uno dell’altro. Lui, architetto dal fascino bohemien, gestisce un negozio di strumenti musicali; lei, indipendente ed entusiasta della vita, è una donna in carriera in giro per il mondo. Lui ha uno splendido rapporto con sua figlia; lei si tiene alla larga con tutta se stessa dall’ipotesi che un bambino possa tarparle le ali. La dinamica a tre viene messa in moto agilmente e gli equivoci proposti, pur nella loro classicità, strappano continuamente sorrisi mantenendo dinamico il ritmo del film: Gabriel, infatti, quando capisce di essere innamorato di Vicky fa di tutto per nasconderle l’esistenza di Sofia, sua figlia, ragazzina di 9 anni. Dal canto suo, la bambina - personaggio più smart di tutta la vicenda - deciderà autonomamente, nel corso di gran parte del film, di tenere il gioco allo sprovveduto genitore, fingendosi sua sorella. Un po’ per complicità con il padre, un po’ perché giocare è sempre divertente. Mentre assistiamo a momenti d’insofferenza totale da parte di Vicky nei confronti del concetto di famiglia, Sofia, presentata sotto mentite spoglie, conquisterà piano piano il cuore della donna.


I personaggi, sebbene abbastanza stereotipati e costruiti volutamente come antitetici, creano all’interno del tessuto narrativo un clima accogliente e familiare, un porto sicuro in cui lo spettatore riesce a riconoscersi. Nella sua non-originalità, il valore aggiunto della coppia sta nel rispecchiare il punto di vista di tanta gente comune; nella dicotomia standardizzata che effettivamente esiste tra chi ama i bambini e chi li odia. I dialoghi sono freschi e divertenti, ma perdono l’occasione di andare oltre e di sfiorare quel cinismo che forse in sala qualcuno avrebbe tanto voluto ascoltare. Sicuramente è una sceneggiatura che fa emergere i dissidi della paternità ma, come ogni commedia romantica che si rispetti, viene riproposta un’unione in nome del compromesso e di una forza più grande che rende nulli gli ostacoli e le convinzioni pregresse dei protagonisti. Ma forse, in fondo, è anche questo uno dei motivi per cui le persone amano vedere i film: per perdersi in dinamiche umane, rese fatate dal potere del cinema.


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