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Captain Fantastic

21/10/2016 11:00

Valentina Pettinato

Recensione Film,

Captain Fantastic

Una favola impegnata, in cui i piccoli protagonisti scelgono il ritorno alla natura come forma di protesta

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Accolto con entusiasmo a Cannes, all’interno della sezione "Un Certain Regard", Captain Fantastic, opera seconda di Matt Ross, convince anche critica e pubblico della Festa del Cinema di Roma. Una favola impegnata, in cui i piccoli protagonisti scelgono il ritorno alla natura come forma di protesta, e si creano un regno autosufficiente in cui religione, cibo in scatola e bibite in lattina non possono entrare. Un mondo in cui non ci si scambiano doni a Natale, ma solo in occasione del Noam Chomsky Day, giorno dedicato al personaggio che hanno nominato loro protettore.


Ben Cash (Viggo Mortensen) vive con la sua numerosa famiglia in una foresta del Nord America. Si nutrono solo delle loro conquiste di caccia, passano le giornate addestrandosi con disciplina a salvarsi dalle intemperie e seguono un percorso di formazione scolastica rigoroso, in maniera totalmente autonoma. I ragazzi, dal più piccolo al più grande, sono abituati ad affrontare ogni tipo di situazione e ad approcciarsi alla conoscenza in maniera schietta. Usano le armi, lottano tra loro, rispondono a domande con parole proprie, opponendosi al nozionismo con spirito critico. La loro madre si è allontanata dalla comunità per farsi curare - soffre infatti di un bipolarismo che le ha provocato una grave depressione - e i bambini lo sanno: nulla arriva loro lievemente, non sono abituati a visioni edulcorate della vita. Quando lei muore non ci sono giri di parole. Tocca tornare in città e onorare la sua memoria: da buddista vuole infatti essere cremata. Così, a bordo di un autobus, la famiglia arriva in città dove affronta supermercati, fast-food e i mille segni di un dirompente capitalismo per una nuova missione: rispettare le ultime volontà della loro adorata madre.


Captain Fantastic è un film decisamente originale: non solo per il bellissimo lavoro di scrittura, che brilla per riferimenti colti e per l’uso intelligente il registro emotivo, ma anche perché prende i classici tòpoi di ritorno allo stato di natura e li mette al servizio di un racconto modernissimo sul ruolo genitoriale e sugli errori che spesso si fanno scegliendo come i figli debbano stare al mondo. Il risultato è una fiaba per adulti bellissima, che tocca argomenti difficili e scomodi senza scollarsi mai da una dolce leggerezza; un racconto di amore paterno che ridiscute la propria visione del mondo per non compromettere la felicità dei bambini. L’unicità della loro storia meravigliosa, e delle sconvolgenti identità, nulla è senza il confronto con l’altro e un certo riconoscimento delle loro capacità. Da una rivoluzione esterna a una microrivoluzione intestina, l’andamento narrativo è sempre pronto a riconsiderare il punto di vista, spostandosi di continuo. I dialoghi brillanti, pur toccando tematiche non semplici, riescono a non risultare noiosi perché usano la grammatica dei bambini.


Il registro, le scelte stilistiche e le musiche acustiche sono quelle proprie di un certo gusto freak. La messa in scena contribuisce a movimentare una storia in cui si attraversa tutto lo spettro degli stati d’animo, dal dolore alla tenerezza, dalla gioia al profondo senso di alienazione. Ross riesce a dosare con sapienza colori, umori, paesaggi di una bellezza spettacolare, condensando interrogativi di cui è piena la letteratura in un piccolo gioiellino filmico godibile e frizzante. Un road movie al contrario in cui i personaggi partono mettendo a nudo la propria anima, per poi rivestirla, pudica, quando capiscono che l’unico modo per sfuggire alla vera solitudine è poterla scegliere, in mezzo alla gente.


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