Classe Z è il secondo film di Guido Chiesa, dopo aver diretto Belli di papà su incarico della Colorado Film. Questa volta il regista si cimenta con la rappresentazione della scuola italiana di oggi, vista soprattutto dal punto di vista degli studenti: i migliori contro quelli i meno dotati. Il film inizia con un consiglio didattico chiamato a decidere, con un provvedimento disciplinare, le sorti del professor Marco Andreoli (Andrea Pisani), l’unico insegnante che abbia davvero creduto nei suoi studenti, anche nei più tremendi. Alla riunione prendono parte il preside (Alessandro Preziosi), gli altri professori, i rappresentanti dei genitori e quegli stessi studenti che hanno fatto impazzire il prof. A metà dell’anno scolastico, infatti, Andreoli, vessato e ridicolizzato dai comportamenti della sua famigerata quinta del liceo scientifico, ha deciso di abbandonare, senza avvertire, il lavoro. Ma saranno proprio i ragazzi a rendergli giustizia, attraverso un processo di cambiamento e maturità che salverà tanto l’insegnante quanto loro. Il film di Guido Chiesa vuole interrogarsi sulle intenzioni di certa scuola ipermeritocratica, che isola gli elementi diversi, o difficili, per permettere ai migliori di andare avanti indisturbati. Qui i casi disperati vengono relegati in una sezione creata apposta per loro, in cui possano essere tenuti maggiormente sotto controllo. Quello che accade è che presto gli studenti prendono il sopravvento, perché spalleggiati l’uno dall’altro, e i professori non riescono più a controllarli. Solo un giovane appassionato insegnante può vedere ciò che si cela dietro gli scherzi, le minacce, gli atteggiamenti maleducati dei suoi alunni. E, con molta fatica, alla fine può avere la meglio su quello che sembrava un destino segnato. Il problema di Classe Z è che l’immagine della scuola e degli studenti che ne esce risulta forzata e superficiale, probabilmente per l’estraneità del regista a questo mondo. Il film ricorda i più datati classici a tema scolastico, come Lezioni d’Estate di Carl Reiner o Breakfast Club di John Hughes, ma i personaggi di Guido Chiesa sono decisamente macchiettistici, interpretati da attori che sfoggiano una recitazione da fiction televisiva. Inoltre, la messa in scena dell'uso esagerato di cellulari, social, selfie e via dicendo, sembra comunicare - come un diktat - che l'intero mondo giovanile si esprima ormai solo così. Ripensando al film La Scuola di Daniele Lucchetti, che ci faceva sorridere perché ognuno poteva ritrovare in quel racconto almeno una parte della propria esperienza, quest’ultima opera di Guido Chiesa non tratteggia poi così bene il mondo scolastico di oggi. Nel complesso è un film godibile, ma che non riesce completamente nell’intento di farci ridere, né di farci riflettere.