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Tarantola

16/04/2017 11:00

Davide Tecce

Recensione Film,

Tarantola

Un tema classico della fantascienza: la contrapposizione fra la scienza “cattiva” e la scienza “buona”, rispettosa dell’

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Esponente di quel filone fanta-horror tanto in voga fra le produzioni a basso costo degli anni Cinquanta, Tarantola si mostra capace di innalzarsi al di sopra della media del genere grazie a una serie di trovate che rendono ancora oggi godibile la sua visione. Frutto del prezioso sodalizio artistico tra il maestro della science fiction Jack Arnold e il produttore della Universal William Alland - che già avevano collaborato per Destinazione Terra (1953), Il mostro della laguna nera (1954) e La vendetta del mostro (1955) - Tarantola dipana il proprio intreccio narrativo a partire dall’immaginaria invenzione di un siero capace di provocare la crescita smisurata dei soggetti nei quali viene iniettato. Principale responsabile della scoperta è il professore Gerald Deemer, ambizioso scienziato il cui obiettivo è di trovare una soluzione al problema dell’alimentazione umana, reso sempre più urgente dall’espansione demografica mondiale, attraverso la realizzazione di un composto chimico che risulti in grado di soddisfare totalmente il fabbisogno nutritivo degli individui. Ben presto, tuttavia, la situazione sfugge di mano allo studioso e un gigantesco ragno, fuggito accidentalmente dal laboratorio dopo aver assunto il siero, assume proporzioni sempre più mastodontiche fino a seminare panico e morte nell’intera regione.


La vicenda descritta nel film, per quanto semplice e prevedibile, risulta sviluppata con efficacia dal regista e si dimostra interessante nella misura in cui aderisce ad uno schema concettuale destinato a consolidarsi nelle opere di science fiction coeve e successive. Tale schema risulta riassumibile in una struttura ternaria, scandita da una premessa iniziale (consistente nel descrivere un particolare problema estrapolato dal contesto storico-sociale dell’epoca; nel caso di Tarantola, si tratta del rischio di sovrappopolazione), dalla successiva introduzione del novum (ovvero l’elemento innovativo finzionale attorno al quale si organizza il racconto della pellicola, come il siero di Deemer) ed infine dalla proiezione immaginativa (comprendente la costruzione di uno scenario ipotetico ma verosimile nel quale si esplorano le possibili conseguenze del novum, vedi la crescita incontrollata del ragno e la devastazione da esso provocata).


La scansione narrativa di Tarantola consente inoltre a Jack Arnold di riproporre un altro tema classico della fantascienza, ovvero quello della contrapposizione fra una scienza cattiva, animata da uno spirito di conquista luciferino, e una scienza buona, rispettosa dell’ignoto che avvolge i confini della conoscenza umana: nel film la prima è evidentemente incarnata dalla figura dello spregiudicato dottor Deemer (interpretato da un convincente Leo G. Carroll), laddove invece la seconda si rispecchia nel protagonista, il giovane medico Matt Hastings (John Agar), che agisce con giudizio e cautela razionale. La pellicola, a ogni modo, non si limita a operare una distinzione manichea tra i due tipi di scienza né a lanciare un secco monito contro il progresso tecnico-scientifico di per sé stesso considerato; piuttosto, essa intende sottolineare come esista un uso del sapere non ignaro delle ripercussioni etiche e sociali delle proprie scoperte, e di converso come l’atteggiamento superbo dell’uomo dinnanzi alla natura sia inevitabilmente foriero di disastri.


Decisamente azzeccata, in questo senso, la scelta di ritrarre la minaccia di una scienza irresponsabile sotto le sembianze di un gigantesco ragno: per quanto i relativi effetti speciali appaiano oggi datati, la figura del colossale aracnide ben si presta a diverse letture e suggestioni metaforiche, dall’invasione aliena alla rivolta della natura contro l’uomo, passando per lo spettro della radioattività che si propaga all’orizzonte come tragica massa oscura. Non meno perturbante, d’altro canto, la decisione di ambientare la pellicola nel panorama desertico: territorio apparentemente sgombero e pacifico, ma in realtà colmo di invisibili insidie, nascoste sotto la sabbia o oltre un gruppo di rocce.


Proprio la sensazione di suspense costituisce, a ben guardare, uno degli innegabili punti di forza della pellicola: Tarantola inizia come un racconto giallo, prosegue in un crescendo di tensione ed infine sfocia in un’autentica rappresentazione da incubo. Nondimeno, il film di Jack Arnold rivela di sapersi muovere con disinvoltura anche sul terreno della commedia (si consideri il rapporto tra il protagonista e l’avvenente collaboratrice del dottor Deemer, nonché i battibecchi dello stesso Hastings con lo sceriffo ed il portiere dell’albergo), esibendo in un paio di sequenze un’insolita dose di autoironia interpretabile in duplice chiave: per un verso espediente narrativo atto a stemperare l’atmosfera di angoscia, per altro verso espressione di una regia che si diverte a giocare con le aspettative del pubblico, distorcendole appositamente. Sebbene non esente da certi cliché ed ingenuità tipici del genere di appartenenza, Tarantola rappresenta una pellicola che farà la gioia di tutti gli appassionati di fantascienza e monster movie, ma che è in grado riservare più di una gradita sorpresa anche per lo spettatore occasionale.


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