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Una Vita, Une Vie

02/08/2017 10:00

Samantha Ruboni

Recensione Film,

Una Vita, Une Vie

La storia di Jeanne, che visse con la meraviglia negli occhi

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Tratto dal primo romanzo di Guy de Maupassant, Una Vita, Une Vie è la storia della vita travagliata di Jeanne (Judith Chemla), che nell'Ottocento visse una vita non sempre felice, ma vista sempre con occhi meravigliati. Presentato alla 73° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e vincitore del premio FIPRESCI, Una Vita, Une Vie segue più di vent'anni di vita di Jeanne: dal monastero in cui frequenta gli studi al matrimonio, compresi tradimenti, desolazione, miseria. Il tutto raccontanto in modo semplice e senza fronzoli. È il montaggio che fa la sua storia, senza narratori. La macchina da presa a mano e l'immagine quadrata 1:33 creano una sorta di cornice di contenimento per Jeanne: una scatola dalla quale è impossibile fuggire. Le inquadrature non vanno oltre al piano americano e insistono sui primi piani, continuando questa costrizione sui personaggi. Aleggia una sensazione di claustrofobia, ma anche di ricercatezza negli sguardi e nelle emozioni altrui. La protagonista è un'idealista: ha fede e estrema fiducia nell'umanità, nonostante le delusioni che faranno parte della sua vita. Jeanne diventa adulta senza accorgersene, senza nemmeno riuscir dire addio all'infanzia; l'infanzia che viene percepita dalla protagonista come un momento di perfezione, al quale tornare con la mente. Nei sogni, nei ricordi e nei flashback. Il presente è portato alla luce dal passato e viceversa. Ogni cosa si congiunge nella mente di Jeanne, che passa da un ricordo all'altro. La sua mente è lucida e priva di secondi fini, ed è proprio la decadenza a renderla un personaggio affascinante. La natura è parte fondamentale della storia: non fa solo da sfondo alle vicende che si susseguono, ma costituisce un vero e proprio specchio della psiche di Jeanne. Il passare del tempo è dato dal susseguirsi delle stagioni: e la Natura cambia, così come cambia Jeanne. La regia è affidata a Stèphane Brizè: l'idea di usare la camera a mano, che rende i battiti della vita interiore di Jeanne, rende l'inquadratura viva e reale. La leggera vibrazione fa intendere allo spettatore che, anche nei momenti più bui, Jeanne è ancora in vita e pronta a lottare. Una sorta di respiro che il direttore della fotografia Antoine Hèberlè e il montaggio di Anne Klotz riescono a sintonizzare con quello degli attori, rendendoli determinanti per l'equilibrio del film. La colonna sonora è praticamente inesistente, se non per un pianoforte antico che sottolinea i momenti in cui la mente di Jeanne vaga alla felice infanzia. Sicuramente una visione non facile, sia per la durata, che rasenta le 3 ore, sia per il ritmo lento. Ma, di certo, una prova di virtuosismo. Da vedere e farne tesoro.


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