C’è un tipo di format televisivo che da qualche anno sta impazzando negli Stati Uniti ma che (purtroppo o per fortuna) in Italia non è ancora sbarcato. Programmi come Scare Tactics o Room 401, che si basano su scherzi/candid-camera a tema horror: basta farsi un giro su YouTube alla voce scary prank per farsi un’idea di che cosa si sta parlando. E come ogni cosa che assume una certa rilevanza all’interno della cultura pop, anche questi scary prank sono stati "assimilati" dalle masse al punto da diventare a loro volta nuovi archetipi del genere horror. Perché se è vero che nessuno di questi programmi è ancora arrivato nel nostro paese, sono comunque sbarcati prodotti in qualche modo derivati e filtrati attraverso questo nuovo stilema narrativo. Adattati in forma di film e serie tv. Ma se nel primo caso il lungometraggio Fear Inc. è evidentemente un prodotto dallo stampo quasi parodistico, che non perde occasione per sparare una battuta o creare situazioni meta-cinematografiche e citazionistiche (che a 18 anni di distanza da Scream - Chi urla muore ha anche un po’ stufato), in tv la sesta stagione di American Horror Story, Roanoke, inizia bene per poi incartarsi su se stessa (un difetto che caratterizza quasi tutta la serie di Ryan Murphy). Scare Campaign invece sembra non sbagliare nulla nel suo gioco di specchi. Si accoda a questi prodotti mutuandone il format e in parte l’estetica, aggiungendo quel tot di ingredienti per renderlo un film estremamente originale e inaspettato. Un programma tv a base di scherzi horror rischia di essere cancellato dalla programmazione. Il network decide di girare un solo episodio attraverso il quale si giocherà il rinnovo contrattuale, a patto che sia la cosa più spaventosa mai trasmessa in tv. Cast e troupe si recano quindi in un vecchio orfanotrofio abbandonato e iniziano a girare con l’ignara vittima, ex-custode della struttura, ma alla fine lo scherzo si ritorcerà contro di loro. La messa in scena non lesina omicidi e sangue, alcuni dei quali particolarmente gustosi (la mezza decapitazione) e non nasconde un certo gusto citazionistico, che però non viene mai ostentato e soprattutto non risulta fine a se stesso. Si vede che i fratelli Cairnes conoscono e amano il genere, sollazzandosi tra omaggi che arrivano sino al cinema nostrano con Mario Bava e Dario Argento (la mezza decapitazione di cui sopra avviene tramite una specie di ghigliottina a filo, un marchingegno simile a quello utilizzato dal killer di Trauma). Questo loro amore trapela anche dal tipo di narrazione utilizzata dai registi, che attraversa svariati sottogeneri dell’horror, sfruttandone i cliché più solidi per poterli stravolgere. I fratelli Cairnes prendono l’impianto degli Scare Prank e lo utilizzano come base per il loro film, travestendolo da mokumentary (ennesima variazione di questo tipo di linguaggio che da The Blair Witch Project in poi sta dilagando nell’horror tanto da diventare un vero e proprio sottogenere) e innestandovi sopra una struttura da slasher classico con tanto di maniaco omicida e final girl. Poi a metà film, quando ormai lo spettatore crede di aver intuito in che direzione proceda la storia, questa si ribalta scombinando le carte in tavola. Il film si evolve ulteriormente, assumendo sfumature da home-invasion e gettando al pubblico una riflessione sugli snuff-movie. Un gioco di percezioni, fatto di punti di vista che si alternano ed evolvono mano a mano che la storia procede, distorcendo la percezione dei protagonisti insieme a quella dello spettatore.