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Agadah

15/11/2017 11:00

Marcello Perucca

Recensione Film,

Agadah

Agadah: letteratura, tra le più difficili, portata al cinema

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Nel Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo, la Haggadah (o Aggadah) è un termine cabalistico che indica una raccolta di omelie rabbiniche che comprendono folclore, aneddotica, consigli morali e altro ancora. Nel film Agadah, di Alberto Rondalli, c’è molto di tutto questo. Ne deriva un’opera che, al pari di altri testi basati sul racconto e sull’affabulazione - Il Decamerone, Le Mille e una Notte, I Racconti di Canterbury - è una raccolta di storie, situazioni, aneddoti che si aprono uno dopo l’altro come in una serie di scatole cinesi. L'una contiene l’altra, e poi un’altra ancora e così via.


Questo fa sì che Agadah sia un film affascinante e misterioso, ricco di episodi che proiettano lo spettatore in un vortice di situazioni che passano dall’horror al fantasy, dalla cabala all’erotismo, con una circolarità della narrazione che riporta la storia sempre al punto di partenza. Il film è tratto da uno dei testi più complessi e visionari della letteratura gotica ottocentesca, il Manoscritto trovato a Saragozza, scritto in francese agli inizi dell’Ottocento dal conte polacco Jan Potocki, morto suicida nel 1815 che, nel film, compare nel prologo e nell’epilogo.


Agadah è suddiviso in dieci capitoli, ognuno dei quali è costituito da una giornata (rispetto alle 66 dell’opera letteraria). Alfonso di Van Worden, giovane ufficiale della guardia Vallone al servizio di Re Carlo di Borbone, all’indomani della battaglia di Bitonto - combattuta nel 1734 fra spagnoli e austriaci -, si reca a Napoli per riunirsi al suo reggimento attraversando l’altopiano dell’Alta Murgia, seppur sconsigliato dal suo fido servitore in quanto luogo notoriamente infestato da spiriti maligni. Inizierà così per Alfonso un viaggio iniziatico, fatto di visioni, sogni e allucinazioni che gli faranno vivere incontri con donne bellissime e sensuali, zingari affabulatori, impiccati che si trasformano in mostri ripugnanti, demoni terrificanti e briganti. Ogni personaggio che Alfonso incontrerà lungo il suo cammino gli narrerà una storia che costituirà, di conseguenza, un racconto nel racconto, contribuendo a rendere il film un’opera spettacolare e avvincente.


L’estrema complessità del romanzo di Jan Potocki, opera monumentale che racchiude in sé vari livelli di lettura, rende arduo l’adattamento per il cinema (un tentativo era già stato fatto nel 1965 dal regista polacco Wojciech Has). Eppure Alberto Rondalli ci è riuscito, complici le belle scenografie di Francesco Bronzi e la fotografia di Claudio Collepiccolo, che esalta gli ambienti e i panorami della Murgia e delle altre località nel quale il film è girato (fra cui la città alta di Bergamo, che appare velata di un’aura magica e misteriosa). Buona anche la prova del cast: attori di alto livello come da Nahuel Pérez Biscayart (che interpreta Alfonso di Van Worden), Pilar Lopez de Ayala, Valentina Cervi, Alessio Boni, Caterina Murino, Alessandro Haber, Umberto Orsini. Un ottimo esempio di cinema tratto da un’opera letteraria.


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