Ci sono film che sono belli in maniera imprescindibile, mentre altri (molti, forse la maggior parte) colpiscono a seconda di quando capitano tra le mani. Un momento particolare della vita o (come più spesso accade) film con cui siamo cresciuti; film che ognuno porta dentro, piccoli cult personali che non necessariamente sono capolavori (anzi) ma a cui teniamo in modo particolare perché fanno parte di noi, indissolubilmente legati al nostro DNA. I film che ci hanno forgiati, insomma.
Per chi è nato tra a cavallo degli anni ‘70 e ‘80 la maggior parte di questi sogni di celluloide sono opere sfornate dai vari Steven Spielberg, Joe Dante, George Lucas; pellicole seminali come I Goonies, Gremlins, Ghostbusters - Acchiappafantasmi. Insieme a essi troviamo film meno noti come Bigfoot e i suoi amici, Navigator, Corto Circuito, la serie tv Storie Incredibili o Howard e il destino del mondo. E proprio quest’ultimo, tra tanti, rappresenta il caso più emblematico. Tratto dal fumetto Marvel di Steve Gerber Howard the Duck (in Italia Orestolo il papero) e prodotto da George Lucas all’apice del suo potere produttivo, la pellicola fu fortemente voluta dalla Universal come prodotto di punta per l’estate del 1986. Peccato che quando il film uscì i risultati non furono all’altezza delle aspettative.
Howard e il destino del mondo si rivelò un flop con appena 16 milioni di dollari d'incasso in patria a fronte di un budget di 36 milioni (un sacco di soldi se si considera che nel 1983 Star Wars: Episodio VI - Il ritorno dello Jedi ne costò 32). Oltre a questo ricevette anche quattro Razzies Award e venne successivamente inserito nella lista dei 50 peggior film di sempre. E allora perché, nonostante tutte queste etichette negative, viene considerato un cult? Forse perché agli occhi di un bambino contiene tutti gli elementi d'intrattenimento, mescolati con un pizzico d'ingenuità smaliziata e sopra le righe così tipicamente eighties. Howard e il destino del mondo è una specie di versione adulta di Paperino, che viene trascinato da Mondo-Papero a Cleveland a causa di un esperimento andato male. Qui incontra la cantante Beverly (Lea Thompson, scelta sull’onda del successo di Ritorno al futuro) che decide di aiutarlo a tornare a casa insieme all’aspirante scienziato Phil (un Tim Robbins a inizio carriera). L’impresa non sarà però facile dato che oltre ad Howard, l’esperimento ha condotto sulla Terra anche un altro alieno: l’Occulto Supersovrano dell’Universo.
Raccontata così la trama di Howard e il destino del mondo appare come quella di un B-movie di infima fattura nonostante i nomi di spicco coinvolti nella produzione. E questa sensazione si amplifica ancor di più se si guarda il film con l’occhio critico dello spettatore moderno: alcuni passaggi sono decisamente ingenui e forzati, alcune trovate a dir poco semplicistiche. E soprattutto perché nessuno si chiede come mai c’è un anatra antropomorfa che si aggira per la città? Nel vederlo le persone o si spaventano o lo scambiano per un bambino mascherato (?!) oppure nella stragrande maggioranza dei casi semplicemente lo ignorano come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Ma se si cambia il punto di vista, guardando il film con l’ingenuità di un bambino – un bambino degli anni ’80 però, i cui genitori erano meno bacchettoni e moralisti rispetto a quelli contemporanei, in grado di soprassedere su alcune scene equivoche con una Lea Thompson mezza nuda con un papero antropomorfo – in quell’età dove il cinema è magia allo stato puro, Howard e il destino del mondo si eleva a uno status superiore.
Diventa un’avventura epica, piena di alieni, inseguimenti con ogni mezzo, rock band, personaggi strampalati che non possono che suscitare simpatia, un paio di scene da body-horror e persino un mega mostro gigante nel finale realizzato in una stop-motion più che pregevole (e che con il senno di poi ha più di un elemento di lovercraftiana memoria). Con quegli occhi Howard e il destino del mondo non è più uno dei film più brutti della storia del cinema, ma diventa un cult ricordato con affetto e orgoglio da una generazione intera, in grado di emozionare ancora a 30 anni di distanza.