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Lucky

31/08/2018 10:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Lucky

L'ultima ballata di Harry Dean Stanton

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Il novantenne Lucky vive in una piccola cittadina nel deserto. Mai stato sposato e senza figli, vive in solitudine ma le sue giornate sono scandite da una ciclica quotidianità: dalle mattine trascorse al diner locale fino alle nottate passate al pub con la storica compagnia di amici e conoscenti, il Nostro riesce a trascorrere il proprio tempo senza annoiarsi troppo. Quando però un giorno, durante i consueti esercizi di ginnastica, soffre di un improvviso svenimento, inizia a preoccuparsi sulle proprie condizioni di salute e la risposta del medico lo lascia spiazzato. Nessun problema grave ma semplici inconvenienti legati alla vecchiaia che mettono Lucky di fronte alla sua età e che lo pongono, da ateo integerrimo, dinanzi alla comprensibile paura della morte.


La scomparsa poche settimane prima dell'uscita del film Oltreoceano del protagonista Harry Dean Stanton dona ulteriore e dolente fascino al debutto dietro la macchina da presa dell'attore John Carroll Lynch. Lucky è una commedia dolce-amara sulla senilità, capace di catturare al pieno l'intensità drammatica del compianto attore, vera e propria punta di diamante di un cast in palla che vede anche la partecipazione in un ruolo secondario del regista David Lynch, che già aveva diretto l'amico Stanton in diverse occasioni. Ma Lucky non è il semplice omaggio alla carriera di un interprete magnifico, bensì un'opera piccola e delicata che attraverso la commistione e il relativo equilibrio di toni emotivi ci trasporta nell'ultimo, surreale e verosimile al contempo, viaggio di una vita al capolinea, qui narrata con una sensibilità assai rara nel cinema contemporaneo. Sin dal prologo, in cui in pochi ma incisivi momenti viene esposto il quotidiano background del protagonista, il racconto si concentra sull'umanità dei personaggi. La suggestiva ambientazione di provincia, con il deserto illuminato dal sole cocente e le dinamiche cittadine in cui tutti conoscono tutti, dona alla visione un'atmosfera quieta e familiare che addolcisce anche i passaggi potenzialmente più cupi in una magistrale ode alla vecchiaia.


Con una minuziosa attenzione ai dettagli, la storia tratteggia con semplicità il profilo di un uomo d'altri tempi, dal carattere scorbutico ma dal cuore grande (una delle scene madri prima dell'epilogo metterà a dura prova le vostre ghiandole lacrimali, ma in un'accezione incredibilmente positiva) che ormai adattato a un'esistenza ciclica si trova impreparato ad affrontare la realtà dei fatti. Ma, nonostante l'iniziale scoramento, trova motivazioni per andare avanti nella riscoperta delle piccole cose, aprendosi nuovamente al mondo circostante con beffarda autoironia. Le parole crociate, gli show televisivi, le misteriose telefonate notturne e i soliti raduni notturni al pub sono solo alcuni degli elementi che ritornano e schivano il rischio monotonia grazie a un approccio sempre fresco e originale che, attraverso l'intelligenza dei dialoghi, fa evolvere il racconto in maniera sorprendente trovando sempre nuovi spunti andanti a modificare lo status quo. E poi la colonna sonora, con la fisarmonica in sottofondo ad accompagnare i cambi a piedi di location o con canzoni struggenti e melanconiche di un'America sanguigna e "primitiva" (da brividi la partenza di I see a darkness di Johnny Cash in una delle sequenze chiave) o la figura chiave della tartaruga dispersa di proprietà del sodale Howard, sono tutti dettagli fondamentali nel tortuoso percorso verso la morte che diventa un commovente e gioioso inno alla vita.


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