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Dog Days

06/09/2018 11:00

Andrea Desideri

Recensione Film,

Dog Days

Quando l'amore per i cani diventa un'ossessione

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Ruth, Tara, Elizabeth e Grace, quattro donne molto diverse accomunate dall’amore per i cani. Questa passione spasmodica per gli amici a quattro zampe complicherà le loro giornate fra impegni imminenti e sorprese inaspettate; ma quando lo sconforto sembra prendere il sopravvento, la natura benevola del miglior amico dell’uomo sistemerà ogni cosa. I cani sono parte integrante di un nucleo familiare, anche se a volte non è sempre facile averci a che fare. Dog Days è l’ultimo lavoro cinematografico di Ken Marino. Una commedia sentimentale, ambientata nella città degli angeli (Los Angeles), che ha come oggetto gli amici a quattro zampe. Ma attenzione: i cani sono i protagonisti, ma vanno intesi come puro pretesto per far emergere l’atteggiamento ossessivo compulsivo di una popolazione. L’America ha rimpiazzato le persone con i cani, a livello affettivo. Questa considerazione un po’ estrema e totalizzante può essere fatta in qualsiasi parte del mondo, però Marino viviseziona la società per far notare quanto la passione per gli animali sia diventata patologica sotto certi aspetti.


Specialmente nella prima parte del film, con l’apporto fondamentale delle quattro differenti storie di cui si compone, viene fuori come gli animali vengano spesso utilizzati per rimpiazzare mancanze affettive a livello umano. L’incapacità di relazionarsi con i propri coetanei o simili porta alla necessità di voler un cane, per riversargli addosso tutta la frustrazione che la quotidianità riserva alle singole persone. Trattare i cani, e gli animali in generale, come figli è sbagliato. L’epimelesi esprime, dal punto di vista scientifico, tale tendenza. Prendersi cura eccessivamente di un animale, trattandolo al pari di una persona umana, riversandogli qualsivoglia capriccio o frivolezza. Ken Marino scherza su tutto ciò: dallo psicologo per cani ai negozi specializzati in vestiti, sono tutti ottimi ganci per dar vita a battute e gag senza che il film risulti eccessivamente stucchevole o pedante.


La seconda metà di Dog Days, invece, fa notare come un cane possa diventare ingombrante all’interno di un nucleo familiare appena formato: se un cucciolo prima era il centro di tutto, in presenza di pargoli da allevare, passerà in secondo piano. È quello che succede a Ruth, la quale – per prendersi cura dei figli – lascia il cane al fratello Dax. I cani, spesso, vanno compresi invece di esser sballottati ovunque: lo ha capito la figlia adottiva di Grace e Kurt, entrata subito in empatia con la dolcissima Mabel (un carlino trovatello); perfetto esempio di come un amico a quattro zampe non abbia bisogno di molte smancerie, ma soltanto di una profonda empatia. La stessa che Elizabeth – giovane conduttrice – mette nei suoi talk show fino a ritrovarsi al fianco di un ex atleta prestato al palcoscenico, per merito di cuccioli bisognosi. Anche Tara, ragazza in cerca di sé e di una posizione lavorativa stabile, ritroverà sentimento e motivazioni accantonate prendendosi cura di animali lasciati soli.


Dog Days è un mix di emozioni che porta a capire l’importanza di possedere un cane senza necessariamente idolatrarlo: non bisogna sovrastarlo, basta amarlo essendo presenti. Un monito che il regista rivolge agli spettatori in maniera pungente, con un pizzico di irriverenza senza tralasciare il romanticismo. Dimenticate, però, quei polpettoni densi di emozioni: tipo Io e Marley o Hachiko, siamo davanti a una commedia sentimentale fatta di dialoghi sprezzanti (con battute al vetriolo) e una costruzione scenica basata sull’equivoco. I cani qui vengono riproposti nel lato più chiassoso e scombussolante, una sorta di Beethoven 2.0, proprio per capitalizzare la convinzione che un animale sia bello e coinvolgente proprio nelle sue debolezze e contraddizioni.


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