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Titus

05/12/2018 11:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Titus

Una particolare rivisitazione della tragedia shakespeariana

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Tito Andronico, generale romano, fa ritorno nella città eterna con alcuni ostaggi della tribù dei Goti, inclusi la regina Tamora e i suoi figli, il maggiore dei quali viene sacrificato agli dei dal capo militare, scatenando il dolore e la sete di vendetta della madre. Rientrato a casa con tutti gli onori, a Tito viene offerta la corona per succedere all'imperatore da poco deceduto ma questi rifiuta, appoggiando invece la pretesa di Saturnino, erede del precedente sovrano, che si contendeva il trono con l'odiato fratello Bassiano. Quest'ultimo ha una relazione con Lavinia, la figlia di Tito, e la rapisce attirando le ire del consanguineo, nel frattempo ammaliato dal fascino di Tamora che sceglie come legittima sposa. La donna, seduce e comanda il regnante a proprio piacimento. E inizia a complottare contro Tito per saldare i conti in sospeso una volta per tutte.


Trasportare la tragedia shakespeariana, ambientata originariamente nell'antica Roma, in un contesto sospeso tra passato e presente, con un'ambientazione fuori dal tempo che fa convivere moderno e arcaico in maniera ibrida, non era certo un'impresa semplice, con il rischio di scontentare i puristi del Bardo d'Albione e disorientare il grande pubblico. Il botteghino ha purtroppo confermato i suddetti pericoli, con un incasso irrisorio, ma l'operazione può dirsi riuscita dal punto di vista cinematografico. Una carica visionaria e originale trascina per quasi tre ore nella violenta faida tra Tito Andronico e la maliarda Tamora, entrambi volti della vendetta alle prese con una partita di intrighi e astuzie destinata ad una conclusione cupa e amara.


Titus, sin dai primi secondi, opta per un sentiero non convenzionale, identificando lo spettatore stesso nel personaggio di Lucius, nipote del condottiero, che da un non specificato periodo contemporaneo si trova catapultato in un anfiteatro dove un esercito sporco di polvere e dalle movenze a scatti (in una sorta di suggestiva sequenza pseudo musical) introduce al prologo della vicenda, fino alla definitiva entrata in scena del protagonista e della sua determinata nemesi. Da lì in poi la messa n scena assume una struttura più lineare, sempre e comunque variopinta dalla commistione di elementi odierni che utilizzano il contesto capitolino: dai discorsi dei due pretendenti al trono, sulla scia delle proclamazioni fasciste, alle relative tifoserie con tanto di bandiere delle squadre di calcio locali, si viene subito ingoiati in un'atmosfera spiazzante, tra note jazz ed eccentriche feste vip.


L'esordiente regista Julie Taymor, autrice in futuro di Frida (2002), Across the Universe (2007) e di un altro adattamento da Shakespeare, il meno riuscito The Tempest (2010), riesce a sfumare e ad aggiornare l'opera di partenza in maniera intelligente, affidando ai dialoghi originari il compito di far crescere l'enfasi melodrammatica e inserendo alcuni passaggi ex-novo per mostrare i non detti. Uniformando la narrazione su un tono spesso anche brutale (non mancano un paio di sequenze che flirtano con l'horror) capace di tenere sempre viva l'attenzione, smussando i momenti più duri con una scattante ironia. La scelta poi di far dialogare gli interpreti con lo schermo, in una sorta di legame con lo spettatore, si rivela riuscita, merito anche della magistrali performance dell'eterogeneo cast, dallo stampo piacevolmente aulico e teatrale, capitanato da sir Anthony Hopkins (il quale scimmiotta in maniera quasi autoironica alcune espressioni di Hannibal Lecter) e da una Jessica Lange perfida e sensuale quanto basta.


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