È il 1992 quando arriva in sala Aladdin, 31esimo Classico Disney ed emblema del decennio definito del "Rinascimento Disney". Ben 27 anni dopo, preda della smaniosa voglia di dar vita a sequel in live-action dei propri maggiori successi, Disney distribuisce un nuovo Aladdin, firmato Guy Ritchie e interpretato da Will Smith nei panni del Genio della Lampada (che in versione animata era doppiato da Robin Williams). Uno degli obiettivi alla base dei nuovissimi live-action Disney è proprio quello di portare in sala gli spettatori più piccoli per consentire loro di conoscere una serie di classici che, magari, non hanno mai avuto la fortuna di vedere; e, perché no, stimolare la loro curiosità nei confronti della ricca storia della casa fondata dal celebre Walt. Un ulteriore motivo è la volontà di attualizzazione di storie che, in fin dei conti, non ne avrebbero bisogno, almeno a giudicare dalla loro estrema modernità e apertura nell'approccio dei temi trattati. Eppure, sarebbe interessante misurarsi in un particolare esercizio critico: cosa noteremmo se guardassimo prima Aladdin di Guy Ritchie e poi quello di John Musker e Ron Clements? Procediamo con calma. Aladdin è basato sul famoso racconto persiano Aladino e la lampada meravigliosa, contenuto nella raccolta di novelle Le mille e una notte: racconta la storia di un simpatico ladruncolo che conquista casualmente il cuore della gentile principessa Jasmine, figlia del Sultano di Agrabah. Alle spalle del sultano, però, si muove Jafar, Gran Visir assetato di potere e di denaro. Il suo obiettivo è trovare un "diamante grezzo", ovvero una persona pura di cuore, in grado di entrare nella Grotta delle Meraviglie e di rubare la celebre Lampada Magica, che contiene al suo interno un Genio in grado di esaudire tre desideri. L'occhio di Jafar cade proprio su Aladdin. Per puro caso, il ragazzo libera il Genio e stringe con lui una profonda amicizia. Quando le cose sembrano andare davvero male e condannare i personaggi alla sottomissione a Jafar, l'astuzia e la purezza di cuore di Aladdin riusciranno a capovolgere la situazione. Cosa traspare a partire da un (insensato, in fin dei conti) confronto tra versione animata del 1992 e in live-action del 2019? Innanzitutto, l'estrema ricercatezza estetica del film del 1992, un'esplosione di colori e di trovate animate in grado di stupire i cuori degli spettatori, adulti e piccini. Eccetto che nelle sequenze in cui è il ritmo dinamitardo a guidare il racconto, il film di Guy Ritchie non riesce mai a ricreare la stessa sensazione di meraviglia e di stupore. In secondo luogo e in anticipo sui tempi, il personaggio del Genio della Lampada e quanto di più pop si potesse fare all'epoca. Adesso, dopo aver visto Shrek, sarebbe semplice non restare a bocca aperta nei confronti di un personaggio in grado di sciorinare riferimenti alla cultura popolare e di pescare dal suo cilindro Jack Nicholson, Pinocchio e il granchio de La sirenetta. Insomma, già nel 1992 Disney aveva costruito un suo universo cinematografico sui generis. Infine, a differenza della versione del 2019, il cartone animato può vantare un vero cattivo: Jafar è quanto di più pauroso possa esistere, un concentrato di avidità e di cattiveria che il povero Marwan Kenzari non riesce minimamente a raggiungere. Insomma, tra il 1992 e quello 2019... chi l'avrebbe detto? Il confronto va decisamente a favore del primo Aladdin.