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Un uomo tranquillo

07/02/2019 11:00

Andrea Desideri

Recensione Film,

Un uomo tranquillo

Liam Neeson in una dark comedy immersa nel thriller

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Nels Coxman guida spazzaneve per i tunnel ghiacciati del Colorado: appare come un uomo senza pretese, rassegnato alla routine, ma la sua esistenza cambia priorità e prospettive dopo la morte del figlio Kyle. La vicenda, archiviata dalle autorità come un’overdose di eroina, è però ben diversa: dietro la dipartita del ragazzo c’è l’operato di una gang di spacciatori di droga. Coxman, quindi, vuole giustizia e medita nei minimi dettagli la sua vendetta: più di un semplice piatto che va servito freddo.


Liam Neeson, dal 2008, l’anno del primo Taken, ha incentrato la sua carriera sul ruolo del "vendicatore"; la conformazione fisica glielo consente e lui, in maniera apprezzabile, la sfrutta al meglio. Dopo undici anni, sotto la supervisione di Hans Petter Molan, Neeson ha dato una svolta al suo iconico giustiziere: Un uomo tranquillo, infatti, è il remake del norvegese In ordine di sparizione, un noir che strizza l’occhio alle commedie dark. Quest’opera, dunque, vuole coinvolgere il pubblico ma anche un po’ canzonare le perle del giallo cinematografico americano, intriso – piuttosto eccessivamente – di thriller.


Un uomo tranquillo presenta gli stilemi e i paradigmi di un thriller, esasperandone i concetti chiave: in una costante iperbole tra violenza e assurdità, il film mette la fisicità al centro del racconto, a volte anche a scapito della narrazione. L’avanguardia della commedia oscura, messa al servizio dell’esplosività action. Un’operazione confezionata con il contributo di Frank Baldwin alla sceneggiatura, che ha traslato i luoghi scandinavi del primo film in situazioni americane da cui trarre giovamento.


Un uomo tranquillo si colloca a metà fra la parodia e il tributo, dando adito a suggestioni assopite in materia di violenza cinematografica. Come si può modernizzare il concetto di "azzuffata generale", senza risultare eccessivamente ridicoli? Hans Petter Molan prova a rispondere con una regia coinvolgente, che fa del pathos la sua arma vincente. Visto che, a livello di trama, il contesto è alquanto scarno e piuttosto inflazionato: il classico esempio di prodotto spendibile non per quel che propone, bensì per le modalità in cui è proposto. Un uomo tranquillo non vuole aggiungere carne al fuoco al cinema di finzione, ma intende dimostrare come un’architettura scenica ben congeniata possa essere ancora in grado di sbalordire servendosi di risorse passate. Il girato può definirsi una rielaborazione perfettamente riuscita di un determinato carattere filmico, che però ha trovato giovamento nell’enfasi casuale del black humor.


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