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Un amico straordinario

04/02/2020 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film,

Un amico straordinario

Tom Hanks è Mister Rogers, la star della tv americana per ragazzi tra anni '60 e '90

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Fred McFeely Rogers, conosciuto anche semplicemente come Mister Rogers, è un nome che non dirà nulla ai più. Pastore protestante e personaggio di spicco della televisione statunitense, conduttore di show per bambini a cavallo tra anni Sessanta e Novanta, sembra la versione in carne e ossa di Ned Flanders. Scarpe da ginnastica e maglione rosso rigorosamente homemade (uno è conservato al Museo della Storia Americana dello Smithsonian Institution, per darvi la caratura dell’importanza del personaggio); calmo, pacato, estremamente gentile con tutti, mai una parola fuori posto. Mister Rogers parla ad adulti e (soprattutto) bambini grazie al suo programma tv pomeridiano Mister Rogers' Neighborhood. Uno show destinato proprio ai più piccoli, nel quale Mister Rogers affronta, puntata dopo puntata, tempi importanti e ostici come la morte, l’amore, il dolore e la malattia. E lo fa sempre con quel suo tono misurato per cui “non c’è nulla da preoccuparsi”.


In Un amico straordinario (traduzione del più evocativo A Beautiful Day in the Neighborhood) Mister Rogers è magistralmente interpretato da Tom Hanks (che grazie a questo ruolo colleziona la sesta candidatura agli Oscar della sua carriera). Ma la storia non ruota attorno a lui, bensì a un giornalista di Esquire, Lloyd Vogel, preceduto dalla sua fama. Vogel, infatti, è noto nell’ambiente per “distruggere” i suoi intervistati, riversando su di loro tutta la rabbia repressa che gli ribolle dentro; è un burbero, cinico e con grossi problemi irrisolti; non riesce a concentrarsi sulla sua famiglia (da poco diventato padre, è terrorizzato dalle responsabilità che lo attendono) e reagisce alle situazioni troppo bruscamente e troppo d’impulso.


Esattamente come in una puntata di Mister Roger’s Neighborhood, il film introduce a piccole dosi temi e traumi del passato del protagonista (uno su tutti è il bellicoso rapporto con il padre) per poi iniziare a indagarli, scavarli, capirli e infine risolverli. Una seduta di terapia lunga due ore, dove il terapista è proprio Mister Rogers. Lui, il solo personaggio pubblico ad aver accettato di essere intervistato da Lloyd Vogel, rovescia la situazione e inizia a fargli domande. Con parole sempre comprensive e ragionamenti elementari. Semplici e potenti nella loro immediatezza, al punto che persino un bambino riuscirebbe a comprenderli al volo. Da questo punto di vista la narrazione del film è quasi spielberghiana - sia nel linguaggio, sia nei temi (la figura paterna è un must della filmografia del regista di Cincinnati) - e la sensazione amplificata dalla presenza di un attore feticcio come Tom Hanks. Invece a dirigere c'è la Marielle Heller, che dimostra di riuscire ad adattare un registro diverso e variegato a seconda delle sequenze. Un film che è allo stesso tempo semplice e complesso, che riesce ad affrontare con naturalezza temi complicati come il rapporto padre-figlio o il concetto di amicizia. Senza mai diventare pesante ma, anzi, riuscendo a rimanere fresco e leggero per tutta la sua durata.


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