Per stessa ammissione dei produttori della saga, anche il secondo capitolo ricalca in modo pedissequo le orme del primo. Gli sforzi degli autori sono stati focalizzati quasi unicamente nel cercare di dare vita ad una nuova spirale raccapricciante e perversa di decessi, in cui la Morte gioca al gatto e al topo con degli sfortunati esseri umani. È ciò che il pubblico vuole e di conseguenza l’unico vero centro d’interesse, il solo per cui valga la pena di guardare anche questo seguito. Per tutto il film non si aspetta altro che la truculenta morte successiva, sapendo che prima o poi essa avverrà. Inevitabile dunque il ricorso al gore, un genere cinematografico che ha nel crudo realismo delle lacerazioni e maciullamenti di corpi umani la sua essenza, ed elemento ricorrente in tutta la saga. Il cambiamento più significativo può essere considerato quello relativo alla squadra chiamata a dirigere e costruire la pellicola, ora affidata alla regia di David R. Ellis, un passato da stuntman con alle spalle importanti esperienze da aiuto regista (La Tempesta Perfetta, Matrix Reloaded, Master and Commander). È trascorso un anno dall’incidente del volo 180 che ha visto la morte dei passeggeri e successivamente dei superstiti in circostanze ambigue. Kimberly è una comune ragazza americana, in procinto di partire in automobile per Daytona con una congrega di amici. All’ingresso dell’autostrada la giovane ha però varie premonizioni che culmineranno in una vera e propria visione dell’imminente disastro automobilistico mortale, in cui sono coinvolti, oltre a lei stessa, i suoi amici. Scendendo dalla macchina in preda al panico riuscirà a bloccare la fila e a salvare così le persone che sarebbero dovute morire, mentre fra lo stupore generale si consuma davvero l’incidente che non risparmierà comunque la sua combriccola. Passato lo spavento, tutti gli scampati al disastro sembrano riprendere la loro routine, ma la morte improvvisa di due elementi del gruppo porterà nuove ombre sulla vita degli sventurati. Nel frattempo, i continui segni premonitori di Kimberly convincono definitivamente la ragazza che la Morte ha un nuovo piano e sta andando a ritroso per colpire coloro sfuggiti al piano iniziale. Nonostante lo scetticismo iniziale, i decessi di altri componenti indurranno i sopravvissuti ad accogliere le tesi di Kimberly. Si rinnova così la dura lotta contro il destino che vedrà anche il gradito ritorno di Clear Rivers (Ali Larter), unica sopravvissuta tra i superstiti del volo 180. Partiamo dal presupposto che si tratta di un seguito e, come tale, è molto probabile che lo spettatore abbia già visto il suo predecessore. Detto ciò, è dura giudicarlo in maniera assoluta come un prodotto a sé stante. L’effetto sorpresa è stato un elemento chiave nel successo del primo Final Destination, mentre dopo mezz’ora di film si è già in grado di intuire l’intero svolgimento del secondo. Il copione è sempre lo stesso e la struttura segue l’identico sviluppo narrativo (premonizione - disastro - salvataggio - nuovo piano - susseguirsi di morti - battaglia conclusiva). L’espediente finale per tentare di risollevare le sorti di un plot già scontato appare troppo forzato, quasi pletorico. Anche i protagonisti sembrano l’ombra dei precedenti nei loro tratti caratteriali – emblematica la scena in cui Eugene tenta di suicidarsi per rivendicare il proprio libero arbitrio sul destino. Se la sostanza non cambia nei contenuti, non può dirsi lo stesso per quanto riguardo la forma. Il vero piatto forte di questo secondo capitolo sono proprio gli effetti speciali ed il tangibile ricorso alla computer grafica, tanto da rendere quasi più interessante il documentario sulla realizzazione delle scene (presente nel DVD) che la pellicola stessa! Un tema potenzialmente così appassionante e avvincente come il ruolo del destino (della Morte, in questa fattispecie) doveva essere sfruttato meglio e meritava sicuramente miglior sorte.