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L'angelo nero

19/05/2010 11:00

Luca Lombardini

Recensione Film,

L'angelo nero

Il marito di una cantante assassinata si unisce alla moglie del presunto colpevole per trovare il vero autore del delitto...

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Il marito di una cantante assassinata si unisce alla moglie del presunto colpevole per trovare il vero autore del delitto. L’unica traccia di cui possono servirsi i due improvvisati detective è una spilla appartenuta alla vittima.


«È uno dei più belli e meno apprezzati film noir mai realizzati… se dovesse essere tramandato ai posteri un solo film tratto da un libro di Woolrich, e tutto il resto andare perduto, è quello che sceglierei.» La spassionata lode di Francis Nevins è senza dubbio esagerata, quel che è certo è che la terz’ultima fatica dietro la macchina da presa di Roy William Neil meriterebbe una celere quanto sacrosanta rivalutazione. Diretto dal maestro indiscusso del thriller-horror britannico degli anni ’30, L’Angelo Nero ridisegna l’omonimo romanzo d’ispirazione sacrificando, sull’altare della chiarezza cinematografica, alcune incongruenze relative alla trama d’origine, mantenendo comunque inalterati tagli squisitamente visuali e modelli di riferimento. Sono passati due anni dall’uscita de La Donna Fantasma e il prototipo firmato Robert Siodmak è maturo per fare scuola, al pari di capisaldi come Lasciateci Vivere! di John Brahm e Lo Sconosciuto del Terzo Piano di Boris Ingster: che a loro volta avevano stilisticamente ispirato Phantom Lady.


Neil cattura le peculiarità squisitamente cinematografiche insite nell’opera letteraria grazie al prezioso contributo in fase di sceneggiatura di Roy Chanslor (fedelissimo al comandamento che vieta di moltiplicare oltremodo gli elementi narrativi a disposizione) e al fondamentale apporto del direttore della fotografia Paul Ivano: confezionando un piccolo gioiello di tensione e atmosfera. Tecnicamente parlando Black Angel merita l’appellativo memorabile a partire dal primo, indimenticabile movimento di macchina: con l’obiettivo che, dalla strada, si arrampica lungo la facciata del grattacielo appena prima di fare il suo ingresso nella stanza dove si consumerà il fattaccio niente meno che attraverso le veneziane. Parimenti è il sottotesto psicologico a stupire per audacia e superficiale scorrettezza emotiva. L’intreccio, pur essendo simbolicamente legato a doppio nodo a quanto letto e visto ne La Donna Fantasma (la spilla al pari del vistoso cappello inseguito nel film di Siodmak, così come la caratterizzazione di ritorno di una donna forte, sola ma decisa a scagionare il proprio uomo contro tutto e tutti), spiazza in sede di risoluzione della matassa: quando Neil, con un vero e proprio colpo di teatro ribalta la “ruolizzazione” buono contro cattivo donando l’innocenza a chi, fino a quel momento, si era posto alla ricezione dello spettatore come personaggio sgradevole e strappando alla coppia di insospettabili, attraverso la soluzione del caso, quella nuova vita alla quale sembravano ormai destinati.


Nodale, infine, il contributo che L’Angelo Nero dà alle regole non scritte del noir, sottolineando il versante casuale attraverso il quale si giunge alla soluzione dell’enigma (l’incubo rivelatore dell’ubriaco) e assecondando con decisione il vettore dell’inconscio, dell’amnesia, della visione rivelatrice. Temi destinati a diventare basilari, l’ultimo regalo fatto alla settima arte da uno dei suoi più fedeli e abili artigiani, scomparso nel 1946. Anno in cui, oltre a L’Angelo Nero, videro la luce Terrore nella Notte e Il Mistero del Carillon. Ovvero il testamento di celluloide di Roland De Gostrie, in arte Roy William Neil.


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