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Lei è troppo per me

20/05/2010 11:00

Valerio Ferri

Recensione Film,

Lei è troppo per me

Una nota di biasimo andrebbe subito rivolta alla pessima traduzione del titolo nella versione italiana, un’ulteriore scarica di sentimentalismo che vuole indiri

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Una nota di biasimo andrebbe subito rivolta alla pessima traduzione del titolo nella versione italiana, un’ulteriore scarica di sentimentalismo che vuole indirizzare univocamente il prodotto verso una fascia di pubblico ben precisa, come se non bastassero le generose curve di Alice Eve. Non che il film brilli per contenuti, sia chiaro, ma la scelta drastica operata dai distributori nostrani suona già come una bocciatura anticipata, relegando l’opera all’interno di una categoria che le appartiene solo in parte, in un momento (fine giugno/inizio luglio) in cui le case cercano di strappare qualche misero incasso proprio grazie al giovanissimo medio. La regia vede l’esordio dell’inglese Jim Field Smith, un giovane regista con alle spalle delle esperienze nella pubblicità e nella sketch comedy. Non è casuale che i produttori l’abbiano scelto appositamente per dare briosità ed imprevedibilità ad un soggetto che, senza tanti giri di parole, si fa notare solo come ennesima riproposizione di cliché cari alla melensa sentimental comedy americana.


Kirk è un ragazzo allampanato sulla ventina. Lavora come inserviente in un dipartimento di sicurezza aeroportuale e sta cercando disperatamente di riconquistare la sua ex ragazza Marnie, grazie all’aiuto dei propri amici. Senza una bella macchina, né un impiego appetibile e con un look tutt’altro che glamour, la figura di Kirk potrebbe essere facilmente accostata allo stereotipo del perdente. Molly è invece un’organizzatrice di eventi, intelligente, prosperosa, benestante, irresistibile ma un po’ insicura e vulnerabile. La sua entrata in scena fa girare la testa a tutto l’aeroporto, e caso vorrà che sia proprio Kirk a doverle riportare l’iPhone smarrito ai controlli. Invitato ad una festa per restituirle il prezioso cellulare, il giovane ragazzo dà il via ad una serie di gaffes che gli faranno perdere quel minimo di autostima duramente conquistata. Ciononostante, la seducente Molly sembra molto incuriosita da Kirk e non perde l’occasione per proporgli altri uscite, le quali non fanno altro che accrescere l’interesse della ragazza. L’arrivo dell’ex fidanzato di Molly e dei suoi familiari complica però notevolmente le cose. A rendere il tutto ancor più frizzante sarà la bizzarra famiglia allargata di Kirk, nonché gli spassionati consigli dei suoi amici. Secondo una particolare classifica sul grado di seduzione ideata da Stainer, Kirk avrebbe solo un misero 5 e Molly non può che essere un 10!


L’immagine dello sfigato che riesce a sedurre la ragazza da copertina non è certo una novità. La solita zuppa insomma, il copione parla già da sé. Tuttavia i produttori si sono mostrati molto soddisfatti di aver ricreato uno scenario sbiadito che cerca di attingere un po’ da American Pie e e in parte da Love Actually (senza riuscirci), con punte di umorismo quasi apprezzabili, ma anche con qualche eccesso di demenzialità non indifferente. Il personaggio di Kirk sembra costruito quasi su misura attorno a Jay Baruchel (il pugile smidollato di Million Dollar Baby, per rendere l’idea); secondo gli stessi creatori e il regista, il punto di forza della pellicola dovrebbe consistere nei toni realistici, nella credibilità dei personaggi e in una tipologia di rappresentazione corale. Il paradosso è proprio quello di aver inserito degli interpreti verosimili all’interno di una narrazione che poco ha a che fare con il realismo e trova linfa in gag a tratti troppo esasperate e ai limiti dell’assurdo. Se non altro, le capacità di Field Smith nel campo dello sketch sono tornate utili – il film è un insieme di brevi scenette che si susseguono a ripetizione – e hanno il notevole merito di non appesantire ancor di più dei dialoghi nel complesso piatti.


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