Sebbene già l’opera di Roland Emmerich, Universal Soldier (in Italia I Nuovi Eroi), non brillasse di originalità nel suo fantasticare su corpi di militari riciclati per dare alla luce soldati indistruttibili (è del 1987 RoboCop di Verhoeven), replicanti resuscitati e riprogrammati per sventare atti di terrorismo senza alcuna perdita umana, quantomeno la prima opera in suolo hollywoodiano del regista tedesco poté avvalersi di una notevole abbondanza di mezzi. E se il primo sequel (The Return) aveva cercato di mantenere quello standard visivo con discreti esiti di incasso, questo terzo capitolo, Universal Soldier Regeneration, deve arrabattarsi fra un (low) budget di 15 milioni di dollari e attori protagonisti sviliti nel fisico e in credibilità. Un gruppo di terroristi prende d’assalto la centrale nucleare di Chernobyl, minacciando il Primo Ministro ucraino di farla esplodere, scatenando così una nube radioattiva dagli esiti disastrosi, se non comanda, entro 72 ore, il rilascio di alcuni criminali tenuti in arresto dalle forze dell’ordine locali. I terroristi hanno dalla loro parte due armi estremamente potenti: i figli del presidente in ostaggio, e un avanzatissimo soldato geneticamente modificato pronto a uccidere chiunque tenti di sventare il pericolo dell’esplosione. I militari tentano di disinnescare la bomba mandando gli Universal Soldier di prima generazione, ma quando assistono al loro massacro ad opera del più avanzato modello, la scelta ricade su Luc Deveraux, un cyborg inattivo da talmente tanto tempo da aver perso memoria della sua missione e della sua natura. John Hyams, figlio del Peter avvezzo regista e sceneggiatore di pellicole di fanta-azione (Capricorno One, Atmosfera Zero, Timecop), “rigenera” i due cyborg protagonisti del film di Emmerich, riesumandone pure gli attori che ne avevano interpretato i ruoli diciotto anni prima. La rigenerazione purtroppo riguarda soltanto i due personaggi, mentre contenuti e forme del genere rimangono sempre uguali a se stessi: terroristi che minacciano un presidente (un ministro in questo caso) di compiere l’atto insano e letale di distruzione di massa, militari devoti al bieco progresso volto esclusivamente allo sviluppo di macchine da guerra (in questo caso i cyborg, sui quali puntualmente l’uomo perde il controllo), e c’è pure spazio (lasciato alla breve interpretazione di Lundgren) per riflettere su cosa possa voler dire essere una macchina, esseri costretti a rispondere alle domande dei propri creatori solo per monosillabi, nati col divieto di libera espressione interiore. Gli unici flebili sussulti, per gli appassionati, li regalano i funambolici scontri marziali finali, visti centinaia di volte in centinaia di altre pellicole, ma sempre e comunque unici epiloghi possibili. Nonostante il film di El Machri (JCVD) avesse lasciato pensare all’inizio di una vita professionale nuova per l’attore belga, la riabilitazione dell’universal soldier Van Damme, a differenza del suo GR44, deve ancora attendere. Emblematica la scena finale, in cui il campione di arti marziali e di action-movies, percorre, stanco e spento, il suo viale del tramonto.