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Il gioiellino

02/03/2011 11:00

Tania Marrazzo

Recensione Film,

Il gioiellino

Amanzio Rastelli (Remo Girone) è a capo della grande azienda agro-alimentare Leda, ramificata a livello mondiale, quotata in borsa e in continua espansione vers

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Amanzio Rastelli (Remo Girone) è a capo della grande azienda agro-alimentare Leda, ramificata a livello mondiale, quotata in borsa e in continua espansione verso nuovi mercati. Ai vertici i suoi parenti più stretti, il figlio Matteo (Alessandro Adriano), la nipote Laura (Sarah Felberbaum), e alcuni suoi uomini di fiducia fra cui Ernesto Botta (Toni Servillo). L’inadeguatezza dei dirigenti però, alcuni dei quali sono appena in possesso di un diploma di ragioneria, porta ben presto l’azienda sull’orlo del collasso finanziario. Ma Rastelli non si arrende, per lui la Leda è tutto, come anche per Botta, così non disponendo di denaro decidono di inventarselo: bilanci falsificati, vendite gonfiate, strategie fittizie con le banche, prestiti, richieste di appoggio ai politici, truffe e inganni. Basterà tutto questo per ricolmare un buco di 14 miliardi di euro?


Al suo secondo film, dopo il caso de La ragazza del lago vincitore di 10 David di Donatello, 3 Nastri d’argento e il Premio Pasinetti alla Mostra del cinema di Venezia del 2007, Andrea Molaioli torna a collaborare con Toni Servillo affiancato stavolta da Remo Girone. Ispirato al crac Parmalat scoppiato alla fine del 2003 per personaggi è accadimenti, Il gioiellino vuole in realtà essere una summa dei casi riguardanti tutte quelle aziende che hanno subito una sorta simile avendo fatto dell’indebitamento la loro strategia motrice, non è un caso che Leda sia un acronimo che sta per "Latte e derivati alimentari".


Non si tratta tuttavia di un film documentario, di denuncia o d’inchiesta, sembra che l’aspetto che abbia più interessato Molaioli sia stato quello umano. Il gioiellino segue infatti da vicino le vicende di uomini più o meno ambigui, insieme di «contraddizioni al limite della schizofrenia» come ha sottolineato la sceneggiatrice e autrice del soggetto Ludovica Rampoldi; Botta e Rastelli «sono uomini abituati a stare sull’orlo del precipizio», avviluppati ossessionati come sono non tanto dal denaro ma dalle logiche e dalla fede all’azienda. In qualità di impero, la Leda lega a sé tutti coloro che vi lavorano, diventa ragione primaria, più della famiglia, dell’amore e della libertà. C’è chi riesce a muoversi all’interno di questo enorme castello di carta, e chi invece non ne sopporta il peso perché troppo onesto o troppo codardo. Botta è fra i primi, per avere la forza di lanciarsi incoscientemente nel baratro di una truffa del genere vota la sua vita alla Leda e chiude se stesso al resto del mondo, ai sentimenti per Laura: «Che cosa siamo?» chiederà lei, ma lui non saprà rispondere.


Le evoluzioni registiche di Molaioli unite alla bella fotografia di Luca Bigazzi, riescono nell’intento di rendere visivamente il dramma, la crisi, i sentimenti e le sofferenze umane. La macchina da presa misura bene la distanza dai suoi personaggi, sa quando avvicinarsi e quando stargli addosso, è sensibile ma senza sentimentalismo, con sincerità. La sceneggiatura ha un che di armonico e sfrutta bene la scelta di parziale aderenza alla realtà, il voler cioè raccontare un fatto reale romanzandolo senza banalizzarlo. Toni Servillo soffre del solito problema di omologazione dei ruoli seppur innegabilmente sempre talentuoso, spalleggiato da un altrettanto bravo ma più statico Remo Girone. Più che raccontare una storia Il gioiellino racconta un certo tipo di umanità, una verità così reale da lasciare infine profondamente amareggiati, soprattutto perché attuale.


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