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La fine è il mio inizio

03/04/2011 11:00

Erika Di Giulio

Recensione Film,

La fine è il mio inizio

Un padre e un figlio camminano vicini...

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Un padre e un figlio camminano vicini. Si guardano negli occhi e ascoltano, siedono accanto, fanno una pausa. Un passaggio di consegne e la fine si fa irrimediabilmente nuovo inizio. Tiziano Terzani (Bruno Ganz) si rende conto di essere giunto alla fine del cammino quando richiama a sé da New York il figlio trentacinquenne Folco (Elio Germano). L'esigenza di condividere e trasmettere le proprie esperienze di vita si fa pressante quando ci si prepara ad affrontare la morte, assieme all'ansia del racconto, alla sacralità inattaccabile della parola e della memoria. Fluiscono pensieri e si addensano esperienze. Tiziano Terzani è stato un grande scrittore e un appassionato viaggiatore. Vuole condividere con suo figlio le riflessioni di tutta una vita. L'infanzia povera e la giovinezza a Firenze, i tre decenni trascorsi come corrispondente dall'Asia e lo sconvolgente viaggio dentro se stesso, quando a causa del cancro si congeda dal giornalismo e si apre alla pratica spirituale, fino al ritorno nel piccolo paese di Orsigna sulle montagne pistoiesi accanto alla moglie Angela (Erika Pluhar), a concludere il suo intenso cammino di passioni alla ricerca del senso.


A sette anni dalla morte la biografia-testamento pazientemente assemblata da Folco nell'arco di tre mesi di amorose ed impegnate conversazioni, e pubblicata postuma (La fine è il mio inizio, Longanesi, 2006), trova una sua veste cinematografica grazie alla sceneggiatura e all'adattamento curato da Ulrich Limmer e dallo stesso Folco Terzani. La fine è il mio inizio è lo sguardo intenso gettato sulla compagna di sempre, il gesticolio di un uomo ispirato dalla curiosità che ha vissuto mille vite in una, la poesia di chi parla ai corvi e raccoglie un fiore. Il tono è ovunque tenue, l'atteggiamento pacato e consapevole. La morte è un appuntamento di quiete e chiudere il cerchio significa staccarsi serenamente dal corpo e abbandonarlo al suo destino. La Fine è il mio inizio esige attenzione e concentrazione e pretende un destinatario in pieno ascolto. Narra la storia di un uomo che entra in simbiosi con la terra, in cui gli alberi hanno gli occhi e sembrano sorriderti e dove cielo e sole sono veri amici. Non una lacrima. Solo riflessioni. Una colonna sonora di tutto pregio (Ludovico Einaudi) che distende e piega malinconica alla meditazione.


Il wendersiano Bruno Ganz, bastone, capelli e barba bianchi, ripercorre in pace i sentieri della vita, abbottonato nel candore delle vesti spesse da vecchio saggio e attore di spalle tanto larghe da sostenere qualsiasi blocco di monologhi senza incorrere nel rischio della noia autoreferenziale. Elio Germano si conferma un degno comprimario nelle vesti dell'ascoltatore puro e attivo che interrompe poco e impara sempre, rinsaldando il legame con il padre in un dialogare ora sorridente, ora più risoluto. Un'operazione attualissima di verità che si compie nella scrittura e nell'intensa interpretazione, oltreché nella scelta e nella bellezza delle location recuperate in tutta la loro autenticità. Rivivono tutti i luoghi che furono di Terzani: la casa di famiglia, i castagni, i tappeti di foglie e le distese montuose verde brillante miracolosamente incontaminate. La purezza di un rifugio sull'appennino Tosco-emiliano che ridesta il sollievo ricercato e vissuto sull'Himalaya in quegli anni di cammino in giro per il mondo a curare la “malattia della mortalità”. Una piccola sfida ed il rischio altissimo della trascrizione assillante: girato in unità di luogo, ricco di testo ma decisamente poco drammatico, fin troppo discreto nella regia (Jo Baier consegna un'opera letteraria, al più teatrale, di certo non cinematografica), sceglie di mettere al centro la parola e il grande racconto in una delicata manovra di censimento delle vaste memorie di Terzani. Tutto nelle fedeltà più assoluta. Ma un carico monolitico di discorsi non fa cinema. La macchina da presa è testimone immobile e silenzioso. Tuttavia il ritmo, stirato all'inverosimile, non diviene mai stasi. Ad incresparlo aria e luce sempre più rarefatte, nebbia soffice, il ronzio di un'ape o il balletto di una mosca, la pioggia violenta di una notte, la quiete assordante della vallata, il vento forte che si porta via le ceneri. Un film sull'essenza. Sull'uomo e la sua vera libertà. Sulla necessità vitale della disobbedienza civile. La non violenza che si fa grintosa esortazione alla vita. Perché bisogna intervenire finché si può. Sentirsi parte del tutto e scordarsi degli affanni. Solo così può compiersi il cammino.


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