Tra i nostrani modi di dire, ce n'è uno che sostiene: le persone comuni imparano ad apprezzare il valore delle opere d'arte solo quando, involontariamente, ci si imbattono. L'arte, infatti, può essere una passione, un passatempo, oppure, un lavoro. Senza arte né parte, la nuova commedia di Giovanni Albanese, famoso artista contemporaneo, riflette - e fa riflettere - proprio sulla scoperta di un mondo artistico che, dietro ad uno scarpone con una mezza bottiglia di whisky, una tela squarciata e una merda d'artista, nasconde la storia del suo ideatore e ne racchiude l'anima. La pellicola racconta la storia di Enzo, Carmine e Bandula, tre amici e colleghi che vengono licenziati contemporaneamente a causa della chiusura di una produttiva fabbrica di pasta. Tammaro, il titolare, decide di investire sull'arte moderna piuttosto che su beni di prima necessità , assumendo una consulente personale per scegliere le opere migliori e tre guardiani per sorvegliarle notte e giorno. Costretti a passare 8 ore della giornata guardando opere di dubbio gusto ma dal valore smisurato, gli uomini cominciano ad apprezzare maggiormente le idee che si nascondono dietro ai manufatti. Una volta resisi conto del valore monetario degli oggetti sorvegliati e della facile riproduzione degli stessi, i nostri eroi si improvviseranno imprenditori e si procureranno il necessario per riprodurle. Ma si sa, gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo. Dopo aver assoldato Marcellino, il fratellino minore di Carmine, abile artigiano e conoscitore della "realtà malavitosa", i protagonisti si metteranno in viaggio verso Roma per cercare di "piazzare" la collezione completa di Tammaro ad un ricco collezionista e vendicarsi del torto subito per pagare, così, i propri debiti. Ovviamente, quando tutto sembrerà risolto, le cose prenderanno la piega sbagliata e nemmeno l'accurato piano di Aurora, la moglie di Enzo, riuscirà a sistemare tutto... Giovanni Albanese, artista talentuoso appassionato (anche) di cinema, decide di unire le sue due passioni in un'opera che, sfruttando il mezzo cinematografico, parla di arte. I colori sgargianti delle tele si riflettono anche nei personaggi: macchiette caricaturali che invece di infondere vitalità alla pellicola, si limitano a lasciare il segno in maniera negativa. Vincenzo Salemme - eccellente attore comico - non rende sul set quanto su un palcoscenico, confondendo la naturalità dei movimenti con la teatralità della recitazione. Giuseppe Battiston e Hassan Shapi sono sicuramente i personaggi meglio costruiti anche se, entrambi, finiscono per rimanere intrappolati negli stereotipi del bambinone e dell'immigrato. Donatella Finocchiaro, inoltre, assoldata per dare un po’ di pepe alla vicenda, non nasconde la propria insicurezza impedendo alla sua performance comica di sembrare naturale. La recitazione, però, non è il problema principale del film: la sceneggiatura è poco elaborata, le battute poco ricercate e i tempi ritmici sembrano procedere costantemente fuori fase. Albanese aveva dalla sua parte l’interessante spunto di costruire un prodotto cinematografico da zero che, proprio come un quadro, si affidava semplicemente alla fantasia e alla tecnica dell'autore. Peccato, dunque, che non si rida mai e che, alla fine del film lo spettatore rimanga con l'amaro in bocca.