Estetica della tecnologica al servizio della comunicazione fra due solitudini: quella di un uomo (Stefano Negrelli) e di una donna (Viviana Leoni) lontani, diversi e, nella loro quotidianità, ogni giorno sorpresi di essere “ancora vivi”. Giunto al suo quinto cortometraggio, Michele Pastrello dopo aver sviscerato in Ultracorpo e InHumane Resources, insieme alla propria accuratezza formale e tecnica, l’acutezza dei contenuti e l’attualità di riflessioni che toccano i temi della claustrofobia esistenziale moderna e della paura socialmente instillata - mette temporaneamente da parte la settorialità dei generi affini all’horror e alla fantascienza per dirigere una speculazione su una condizione umana condivisa e profonda. Dal proprio dono per l’osservazione del dettaglio e per la sua resa cinematograficamente nitida, Pastrello adotta in Desktop una scrittura ancora più essenziale del passato, una stesura minimale che ha però del poetico. Strutturato attraverso l’avanzare ritmico e musicale e accompagnato dalla fotografia pulita e accecante di Mattia Gri, il regista veneto pare fondere la passata attenzione per l’indagine della patologia – qui investigata nella sua forma più subdola, la dipendenza dalla solitudine – con una (quasi inedita) cura per il racconto della sfera sentimentale. La semplice alternanza nel montaggio fra una femminile tristezza cittadina e una cupa routine montanara al maschile genera in realtà un climax di indizi in cui il rebus che intercorre fra i due personaggi si rivela solo sul finale con un “tocco” fantastico che è firma dello stile del regista. Il tono malinconico ma vigile della sceneggiatura, anche stavolta opera dello stesso Pastrello, cede un po’ del trascorso action in favore di un racconto più controverso, sicuramente ipnotico, nel quale si manifesta uno stile maturo, coraggiosamente trasformato e rifinito.